Ablazione della fibrillazione atriale

Ablazione della fibrillazione atriale

 

Che cos’è la fibrillazione atriale?

La fibrillazione atriale è un’aritmia cardiaca caratterizzata da attività atriale rapida e non ritmica, con perdita della contrazione degli atri. Gli atri infatti non risultano più in grado di espellere tutto il sangue, che pertanto resterà in parte all’interno delle camere con il pericolo che si formino coaguli. Questo ritmo alterato è assolutamente compatibile con la vita, ma può provocare complicanze potenzialmente molto invalidanti.

La fibrillazione atriale può essere causata, tra l’altro, da difetti delle valvole cardiache o difetti cardiaci congeniti, dall’assunzione di farmaci, caffeina, tabacco e consumo di alcol, dall’ipertiroidismo o altri squilibri metabolici e dall’apnea notturna. In gran parte dei casi, la fibrillazione atriale viene dunque determinata da una malattia cardiovascolare, ma è possibile che si manifesti anche in soggetti che non soffrono di alcuna cardiopatia. In questo caso, solitamente si parla di fibrillazione atriale isolata (30% dei casi). Se alla fibrillazione atriale è correlato anche un vizio strutturale del cuore si tratta di fibrillazione atriale concomitante (50% dei casi). In alcuni individui colpiti da fibrillazione atriale non si manifesta nessun sintomo, o se sono presenti non vengono riconosciuti dal paziente, che si limita ad adeguare il proprio stile di vita. Questi soggetti spesso vivono senza rendersi conto della loro condizione fino al momento in cui questa non viene riscontrata dal medico in occasione di un esame obiettivo o di un elettrocardiogramma. I pazienti che invece presentano sintomi, più frequentemente segnalano palpitazioni, dispnea, debolezza o affaticabilità, di rado sincope e dolore toracico.

Viene effettuata la diagnosi attraverso esame obiettivo, elettrocardiogramma o ECG holter delle 24 ore. Clinicamente, a seconda del modo di presentazione, la fibrillazione atriale viene suddivisa in parossistica (quando gli episodi si manifestano, ma si risolvono spontaneamente in un tempo inferiore a una settimana), persistente (quando l’episodio aritmico non si interrompe spontaneamente ma solo attraverso interventi terapeutici esterni) e permanente (quando gli interventi terapeutici si sono rivelati inefficaci).

 

Che cos’è l’intervento di ablazione chirurgica della fibrillazione atriale?

Quando sia la terapia farmacologica sia un’eventuale cardioversione elettrica si siano rivelati inefficaci nel controllo del ritmo o della frequenza, se si manifestano gravi sintomi invalidanti, il trattamento di scelta nel cercare una soluzione al problema in caso di fibrillazione atriale isolata può essere un’ablazione transcatetere. Se anche l’ablazione transcatetere risulta inefficace, è possibile effettuare un’ablazione chirurgica con la chiusura dell’auricola sinistra: ci saranno probabilità di riuscita sicuramente più elevate a scapito di una maggiore invasività.

In caso di fibrillazione atriale correlata ad un’altra patologia strutturale del cuore, si eseguirà l’intervento seguendo le modalità e l’approccio richiesto dalla patologia cardiaca strutturale (sternotomia o minitoracotomia con circolazione extracorporea o a cuore battente). In caso di fibrillazione atriale isolata di tipo parossistico, è possibile eseguire l’intervento di ablazione attraverso una doppia toracoscopia a cuore battente, con un’invasività minima. In caso di fibrillazione atriale persistente o cronica, verrà effettuato un intervento di ablazione in minitoracotomia, con l’ausilio della circolazione extracorporea.

La probabilità di ripristino del ritmo normale del cuore (ritmo sinusale) può variare dal 70 al 90% in base al tipo di fibrillazione atriale e alla durata della fibrillazione prima di essersi sottoposti all’intervento.

 

L’intervento di ablazione chirurgica della fibrillazione atriale è pericoloso o doloroso?

I rischi associati a questo tipo di intervento sono il sanguinamento, le infezioni, il danno neurologico e il possibile impianto di un pace-maker.

 

Follow-up

Dopo l’intervento il paziente viene trasferito in terapia intensiva, per restare sotto osservazione per 12-24 ore, prima di essere ritrasferito in reparto di degenza. Dopo 4 o 5 giorni dall’intervento il paziente può essere dimesso dall’ospedale ed essere trasferito direttamente presso un centro di riabilitazione cardiologica, dove resterà ricoverato per circa 15 giorni o direttamente a domicilio a seconda dei casi.

Ablazione della via accessoria

Ablazione della via accessoria

 

In caso di sindrome di Wolff-Parkinson-White (WPW), una volta confermata l’indicazione al trattamento con RF, si procede con il ricorso all’ablazione della via accessoria, costituita dall’erogazioni di polsi puntiformi, millimetrici, di radiofrequenza, effettuati con un catetere ablatore in corrispondenza della via anomala: in questo modo si interrompe la conduzione elettrica lungo tale struttura. Una volta eliminata la via anomala, viene nuovamente eseguito lo studio elettrofisiologico in modo da confermare la buona riuscita della procedura, registrando l’impossibilità che le tachicardie vengano nuovamente indotte. L’esame elettrofisiologico e l’ablazione vengono eseguiti in anestesia locale, effettuata a livello inguinale destro. Gli elettrocateteri necessari per lo studio elettrofisiologico e per l’ablazione vengono introdotti mediante la puntura della vena femorale. Il pomeriggio stesso il paziente è in grado di alzarsi e la mattina successiva può essere dimesso. Dopo aver eseguito una ablazione efficace, se non si presentano altri tipi di aritmia o di cardiopatia, non è necessario iniziare alcuna terapia farmacologica.

Ablazione delle tachicardie atriali

Ablazione delle tachicardie atriali

 

Lo studio elettrofisiologico permette la creazione di una mappa elettrica del cuore e l’individuazione del punto da cui la tachicardia ha origine; attraverso il catetere ablatore, poi, vengono erogate scariche di radiofrequenza che andranno a bruciare il gruppo di cellule responsabili dell’aritmia.

 

Che cos’è l’ablazione delle tachicardie atriali?

Le tachicardie atriali sono aritmie secondarie ad aumentata automaticità di alcune cellule atriali, che in particolari condizioni si attivano e scatenano l’aritmia. Il trattamento di scelta di queste aritmie è l’ablazione transcatetere.

Il flutter atriale è un’aritmia secondaria alla presenza di un circuito elettrico aggiuntivo che si trova quasi sempre in atrio destro, di rado in atrio sinistro. Il circuito elettrico è rappresentato da un anello che occupa tutta la circonferenza dell’atrio.

 

Funzionamento dell’ablazione delle tachicardie atriali

Lo studio elettrofisiologico determina la creazione della mappa elettrica del cuore e l’individuazione del punto da cui la tachicardia ha origine; successivamente, attraverso il catetere ablatore, vengono erogate scariche di radiofrequenza che andranno a bruciare il gruppo di cellule responsabili dell’aritmia. Nel caso in cui il gruppo di cellule responsabile si trovi in atrio destro, la procedura risulta essere tecnicamente più semplice; nel caso in cui il focus aritmogeno sia posizionato nelle sezioni di sinistra, la procedura risulta più complessa, per cui analogamente al trattamento della fibrillazione atriale viene richiesto un passaggio tramite ago attraverso il forame ovale (puntura transettale).

La procedura di scelta per il trattamento della forma più comune di flutter, quella destra, è rappresentata dall’interruzione del circuito attraverso la procedura di ablazione con radiofrequenza in una particolare zona, definita istmo cava inferiore-tricuspide, che si può facilmente individuare dal punto di vista elettrico e tramite guida fluoroscopica (raggi X).

 

Come avviene la procedura?

Il tutto viene eseguito in regime di ricovero. Durante l’esecuzione della procedura il paziente è cosciente: viene eseguita solo l’anestesia locale in sede di accesso venoso (femorale destro). La durata della procedura può variare a seconda della difficoltà nel raggiungere il focus aritmico con il catetere ablatore (1-4 ore).

Se non si verificano complicanze, il paziente può essere dimesso già il giorno successivo.

 

L’ablazione delle tachicardie atriali è dolorosa o pericolosa?

In genere la procedura viene ben tollerata; gli unici disturbi che possono manifestarsi nel paziente sono il reperimento dell’accesso vascolare e, in alcuni casi, il momento dell’ablazione (sensazione di bruciore al petto). Durante la procedura esiste anche la possibilità che il paziente avverta la tachicardia, che l’operatore cerca di indurre allo scopo di poterla adeguatamente mappare e reperirne il punto di origine.

 

Chi può sottoporsi al trattamento?

Sono candidabili alla procedura tutti i pazienti che manifestano tachicardie atriali non responsive ai farmaci antiaritmici o che non tollerano questi ultimi.

 

Follow up

I successivi controlli possono prevedere valutazioni cliniche e l’esecuzione periodica di ecg holter per poter rivelare eventuali recidive asintomatiche.

Ablazione delle tachicardie da rientro

Ablazione delle tachicardie da rientro

 

L’ablazione delle tachicardie da rientro è una terapia ablativa fondata sull’individuazione della via accessoria attraverso lo studio elettrofisiologico endocavitario e successiva ablazione tramite radiofrequenza della stessa.

 

Che cos’è l’ablazione delle tachicardie da rientro?

Le tachicardie da rientro nodale (AVNRT) sono aritmie secondarie alla presenza di una via elettrica aggiuntiva a livello del nodo atrioventricolare, la cui presenza determina la possibilità che si verifichino dei “cortocircuiti” attraverso i quali l’impulso elettrico continua a diffondersi attraverso le due vie (quella fisiologica e quella aggiuntiva) perpetrando l’aritmia.

La terapia ablativa è basata sull’ablazione transcatetere con radiofrequenza della via nodale aggiuntiva, la cui posizione è solitamente semplice da individuare e piuttosto simile in ogni individuo.

 

Le tachicardie da rientro atrioventricolare (AVRT) sono aritmie secondarie alla presenza di un fascio accessorio, esterno al normale sistema di conduzione: questo unisce atri e ventricoli e consente una rapida conduzione degli impulsi da una camera all’altra, favorendo il verificarsi di aritmie da rientro.

 

Funzionamento dell’ablazione delle tachicardie da rientro

La terapia definitiva è basata sull’individuazione della via accessoria attraverso lo studio elettrofisiologico endocavitario e la successiva ablazione tramite radiofrequenza della stessa. Dal punto di vista tecnico la procedura risulta essere più complicata nel caso in cui la via accessoria sia posizionata nelle sezioni sinistre del cuore, poiché richiede il passaggio da destra a sinistra tramite l’utilizzo di un ago attraverso il forame ovale.

 

Come avviene la procedura?

Il tutto viene effettuato in regime di ricovero. Durante la procedura il paziente resta cosciente: viene eseguita solo l’anestesia locale in sede di accesso venoso (femorale destro). La durata della procedura può variare a seconda della difficoltà nel raggiungere il punto esatto con il catetere ablatore (1-2 ore).

Se non si verificano complicanze, il paziente può essere dimesso il giorno successivo.

 

L’ablazione delle tachicardie da rientro è dolorosa o pericolosa?

Solitamente la procedura viene ben tollerata; gli unici disturbi che possono manifestarsi nel paziente sono il reperimento dell’accesso vascolare e, in alcuni casi, il momento dell’ablazione (sensazione di bruciore al petto). Inoltre, mentre la procedura viene eseguita, il paziente potrebbe avvertire la tachicardia: è l’operatore che cerca di innescarla per poterla adeguatamente mappare e reperirne il punto di origine.

 

Chi può sottoporsi al trattamento?

È necessario considerare l’ablazione transcatetere come la prima scelta terapeutica per i pazienti colpiti da tachicardia da rientro nodale, in considerazione dell’elevata efficacia e sicurezza della procedura. Inoltre rappresenta la prima scelta terapeutica per i pazienti portatori di vie accessorie atrioventricolari sintomatici per tachicardie da rientro o la cui via presenti delle caratteristiche elettrofisiologiche di particolare pericolosità.

 

Follow-up

Nei successivi controlli possono esserci delle valutazioni cliniche e l’esecuzione periodica di ecg holter nel primo anno dopo l’ablazione.

In seguito, in presenza di stabilità clinica, è possibile che non siano necessari ulteriori controlli cardiologici.

 

 

Ablazione di tachicardia atriale

Ablazione di tachicardia atriale

 

Attraverso l’ablazione si può eliminare il gruppo di cellule responsabili dell’aritmia.

 

In caso di tachicardia atriale, gli approcci per l’ablazione saranno diversi in base al sito di origine.

 

In caso di tachicardie ad origine dall’atrio sinistro potrà essere necessario eseguire la puntura transettale per raggiungere le sezioni cardiache di sinistra.

 

Alcune tachicardie atriali possono dipendere invece da un rientro riconoscibile macroscopicamente e, solitamente, si presentano a frequenza più elevata (anche oltre i 250 bpm). In questi casi si parla di flutter atriali, che sono delle aritmie da rientro in cui l’intero corto circuito a sostegno dell’aritmia è posizionato all’interno degli atri.

Parliamo di flutter atriale tipico se il circuito si trova nell’atrio destro e attraversa l’area tra la vena cava inferiore e la valvola tricuspide. Solitamente il flutter atriale risulta poco sensibile ai farmaci e spesso è richiesta la cardioversione elettrica. È possibile che lo studio elettrofisiologico confermi la diagnosi di flutter atriale tipico: in tal caso verrà eseguita l’ablazione transcatetere dell’istmo cavo-tricuspidalico.

Si verificherà il ripristino del ritmo sinusale durante l’erogazione di radiofrequenza se viene eseguita in corso di aritmia.

Nel caso di flutter atriale atipico sarà necessaria l’identificazione del circuito specifico dell’aritmia: in genere la manifestazione di un flutter atipico avviene in presenza di una cardiopatia strutturale e in esiti di un intervento cardiochirurgico.

 

Generalmente il circuito dell’aritmia si verifica attorno alle barriere di conduzione rappresentate dalle suture chirurgiche correlate alle barriere anatomiche fisiologiche. Dopo avere individuato il percorso dell’aritmia, dunque, sarà necessaria l’identificazione del “punto debole”, dove l’ablazione potrà avere successo con maggiore sicurezza e semplicità.

Ablazione trans catetere

Ablazione trans catetere

 

L’ablazione trans catetere rappresenta una procedura terapeutica mirata al trattamento e all’eliminazione di diverse aritmie cardiache mediante la bruciatura, in seguito all’erogazione di radiofrequenza del sito o della via anomala che determinano l’aritmia.

 

Che cos’è l’ablazione trans catetere?

L’ablazione trans catetere è una procedura terapeutica capace di trattare ed eliminare molte delle aritmie cardiache tramite la bruciatura, con radiofrequenza, del sito o della via anomala interessati dalla genesi dell’aritmia stessa.

L’esecuzione di questa procedura viene effettuata dopo lo studio elettrofisiologico, ossia un altro esame che consiste nel valutare il sistema elettrico del cuore e che rappresenta la base per la successiva caratterizzazione ed eliminazione dell’eventuale aritmia presente.

 

Funzionamento dell’ablazione trans catetere

L’esecuzione dell’ablazione trans catetere avviene attraverso l’erogazione di energia elettrica (radiofrequenza) dalla punta metallica di un particolare elettrocatetere, di materiale plastico, che viene introdotto per via venosa (generalmente femorale) e portato, sotto guida fluoroscopia (raggi X) all’interno del cuore; l’erogazione di energia elettrica determina un riscaldamento della punta metallica, e tale riscaldamento causa delle piccolissime bruciature. In base alla lettura dei segnali elettrici riportati, si posiziona il catetere nel punto in cui appare più facile l’ottenimento dell’interruzione dell’aritmia; con questa metodica si applica la radiofrequenza soltanto nei punti interessati dalla genesi dell’aritmia e il tessuto miocardico normale non viene danneggiato.

 

Come avviene la procedura?

Le ablazioni trans catetere in gran parte vengono eseguite quando il paziente è cosciente (tranne nel caso dell’ablazione della fibrillazione atriale) e pertanto in qualsiasi momento è possibile per il paziente comunicare con il medico operatore, segnalando ogni eventuale disturbo. In gran parte dei casi, tuttavia, la procedura non dà luogo ad una particolare sintomatologia se non una lieve sensazione di bruciore mentre viene erogata la radiofrequenza. Perché la procedura abbia successo è necessario avere la collaborazione del paziente, il quale deve muoversi il meno possibile (in special modo mentre viene erogata la radiofrequenza) per evitare che il catetere ablatore cambi posizione, evenienza che potrebbe influire sull’esito positivo della procedura stessa.

 

 

Ablazione trans catetere della tachicardia da rientro nodale

Ablazione trans catetere della tachicardia da rientro nodale

 

Una volta risolto l’episodio aritmico, si può procedere con lo studio elettrofisiologico con ablazione trans catetere del circuito della tachicardia, che attualmente rappresenta la terapia riconosciuta come gold standard per il trattamento della tachicardia da rientro nodale. Nei pazienti con doppia via nodale il decorso della via rapida all’interno del nodo atrioventricolare corrisponde al tratto superiore e anteriore, mentre il tratto posteriore corrisponde alla via lenta.

Lo studio elettrofisiologico comporta l’esecuzione di stimolazioni atriali e ventricolari allo scopo di evidenziare la presenza della duplicità nodale AV. Dopo aver confermato la presenza di doppia via nodale e dopo aver fatto diagnosi di TRN, si prosegue con l’ablazione della via lenta che consiste nell’erogazioni di polsi puntiformi, millimetrici, di radiofrequenza, effettuati con un catetere ablatore, in corrispondenza della via lenta, in modo tale da interrompere la conduzione elettrica lungo uno dei due bracci del cortocircuito (la via lenta anterograda).

Dopo aver eliminato la via lenta viene nuovamente eseguito lo studio elettrofisiologico in modo da confermare la buona riuscita della procedura, registrando l’impossibilità a comportare di nuovo tachicardie. L’esame elettrofisiologico e l’ablazione vengono eseguiti in anestesia locale, eseguita a livello inguinale destro.

Gli elettrocateteri necessari per lo studio elettrofisiologico e per l’ablazione vengono inseriti mediante la puntura della vena femorale. Il pomeriggio stesso il paziente si può alzare e la mattina successiva può essere dimesso.

Aborto spontaneo

Aborto spontaneo

 

Il termine medico “aborto spontaneo” sta ad indicare un’interruzione di gravidanza che avviene spontaneamente entro i primi 180 giorni di gravidanza ed è un evento abbastanza comune: le statistiche evidenziano infatti che l’aborto spontaneo succede nel 30% delle gravidanze.

 

Che cos’è l’aborto spontaneo?

L’aborto spontaneo può essere “completo” e dunque consistere nell’espulsione spontanea totale dell’embrione o feto senza vita, o “incompleto” o “ritenuto” ossia quando la gravidanza è parzialmente o completamente presente nella cavità uterina, ma non è presente nessuna attività cardiaca del feto.

 

Quali sono le cause dell’aborto spontaneo?

Le cause che possono portare le donne in gravidanza ad un aborto spontaneo sono tante, tra le principali vi sono:

  • anomalie cromosomiche (è sicuramente la causa più frequente di abortività spontanea. La frequenza aumenta con l’aumentare dell’età materna);
  • malformazioni congenite (utero setto, unicorne ecc) o acquisite (polipi, fibromi) dell’utero;
  • incontinenza cervicale (il collo uterino tende a dilatarsi in epoca molto precoce di gravidanza, anche in assenza di contrazioni, conducendo all’espulsione del feto);
  • malattie autoimmuni o trombofiliche (in cui aumenti , cioè, la coagulazione del sangue);
  • patologie infettive come toxoplasmosi, rosolia, infezione da citomegalovirus che possono contagiare il feto e causarne la sofferenze e poi la morte;
  • infezioni vaginali non trattate;
  • insufficienza del corpo luteo che non produce abbastanza progesterone, l’ormone che favorisce l’impianto e il mantenimento della gravidanza nel primo trimestre.

 

Quali sono i sintomi dell’aborto spontaneo?

A volte possono capitare anche i cosiddetti aborti silenti, manifestazioni che nonostante la diagnosi è clinica fatta con l’ecografia, non hanno comunque presentato alcuna tipologia sintomatica. Altre casistiche hanno evidenziato invece perdite ematiche o contrazioni uterine. I sintomi con cui si può presentare un aborto spontaneo possono essere molto diversi tra loro e variabili in rapporto alle diverse situazioni cliniche.

 

Come prevenire un aborto spontaneo?

Le azioni di prevenzione dell’aborto spontaneo sono anche molto diverse e variano in base alla causa all’origine dell’aborto.

Il riposo è senza dubbio il principale deterrente e il trattamento fondamentale consigliato dal medico quando la gestante è un soggetto a rischio di minaccia d’aborto. – Una terapia preventiva a base di progesterone può essere efficace nei casi in cui si sospetti una insufficienza del corpo luteo. In caso di patologie autoimmuni (come la sindrome da antifosfolipidi) o in condizioni di eccessiva trombofilia, possono essere prescritti l’utilizzo di eparina o di acido acetil-salicilico. Quando i soggetti soffrono di incompetenza cervicale si esegue il cerchiaggio della cervice. È bene provvedere al trattamento di patologie come il diabete o a carico della tiroide già prima dell’inizio di una gravidanza.

 

Diagnosi

In linea di massima la diagnosi di aborto spontaneo viene fatta a seguito di:

  • visita ginecologica;

Possono essere prescritti anche:

  • test di gravidanza;
  • dosaggio plasmatico della frazione beta dell’ormone della gravidanza (HCG). L’HCG viene prodotto a partire dall’impianto in utero e aumenta costantemente fino al terzo mese di gravidanza. Le sue modificazioni sono utili per capire l’evolutività o meno di una gravidanza.

 

Trattamenti

Diagnosticato un aborto spontaneo, le strade possibili sono generalmente due:

1) la terapia chirurgica: è il cosiddetto “raschiamento” mediante isterosuzione. In pratica, si procede all’aspirazione del materiale abortivo ritenuto in cavità uterina, mediante una cannula inserita attraverso il canale cervicale.

2) in alcuni casi si può decidere di attendere la spontanea espulsione del materiale abortivo dall’utero o facilitarne l’espulsione stessa tramite la somministrazione di farmaci che facilitino la contrazione uterina. Si parla in questo caso di “condotta di attesa”, che viene applicata quasi esclusivamente in presenza di aborto incompleto (più raramente nel caso degli aborti interni), e soprattutto se l’aborto è avvenuto nelle settimane iniziali di gravidanza.

Aceclofenac

Aceclofenac

L’aceclofenac viene consigliato per la terapia del dolore e dell’infiammazione collegati all’artrosi, all’artrite reumatoide e alla spondilite anchilosante.

Che cos’è l’aceclofenac?
Si tratta di un medicinale antinfiammatorio non steroideo (Fans). Opera bloccando gli enzimi cicloossigenasi, ostacolando così la creazione di molecole (le prostaglandine) incluse nella formazione della sensazione di dolore, del gonfiore e dell’infiammazione.

Come si prende l’aceclofenac?
L’aceclofenac si prende per bocca, in forma di pastiglie da prendere di solito due volte al dì.

Effetti collaterali dell’aceclofenac
Prendere aceclofenac può venire collegato a una crescita del pericolo di trombosi, ostacolare l’aggregazione delle piastrine e provocare gravi reazioni cutanee. Può anche danneggiare la fertilità femminile.

Tra gli altri suoi eventuali effetti collaterali troviamo anche:
anemia, anemia emolitica
depressione del sistema immunitario
granulocitopenia
neutropenia
iperpotassiemia
depressione
sogni inusuali
insonnia
disturbi alla vista
parestesie
tremori
sonnolenza
dolore alla testa
cambiamenti del gusto
scompenso cardiaco
palpitazioni
vertigini
acufene
ipertensione
arrossamenti o vampate
vasculite
dispnea
dispepsia
dolori addominali
nausea
diarrea
flatulenza
gastrite
costipazione
vomito
ulcere orali
melena
emorragie e ulcere gastrointestinali
stomatite
crescita dei sintomi della patologia di Crohn e della colite ulcerosa
sangue nel vomito
pancreatite
dermatite o dermatite bollosa
angioedema
porpora
crampi alle gambe
crescita dell’urea o della creatinina nel sangue
insufficienza renale
sindrome nefrosica
scompenso renale
crescita degli enzimi epatici
epatite e altri disturbi al fegato
crescita della fosfatasi alcalina nel sangue
edema
affaticamento
crescita di peso

È fondamentale avvertire immediatamente un dottore in presenza di:
rash
orticaria
prurito
problemi respiratori
sensazione di oppressione al petto
gonfiore di bocca, viso, labbra o lingua
ittero

Controindicazioni e avvertenze
L’aceclofenac non è indicato durante la gravidanza, nello specifico durante il terzo trimestre di gestazione.

Prima di prenderlo è fondamntale avvertire il dottore:
di possibili allergie al principio attivo, ai suoi eccipienti, a ogni altro medicinale (nello specifico ad altri Fans), a cibi o ad altre sostanze
dei farmaci, dei fitoterapici e degli integratori presi, nello specifico altri Fans o analgesici, diuretici, antipertensivi, glicosidi cardiaci, litio, digossina, metotressato, mifepristone, corticosteroidi, anticoagulanti, antibiotici (soprattutto chinoloni), anti-piastrinici, SSRI, ciclosporina, tacrolimus, zidovudina e antidiabetici
se si soffre (o si ha sofferto) di ulcere peptiche o emorragiche, emorragie, diatesi emorragica, problemi emorragici o ematologici, scompenso cardiaco o scompenso cardiaco congestizio, patologie ischemiche, patologie cerebrovascolari, arteriopatie periferiche, scompenso epatico o renale, emorragie o perforazioni gastrointestinali collegate all’assunzione di Fans, asma bronchiale, ipertensione, colite ulcerosa, patologia di Crohn e lupus eritematoso sistemico
in presenza di gravidanza o allattamento

Nell’eventualità di assunzione a lungo termine è meglio controllare con regolarità la funzionalità renale, quella epatica e i livelli dei diversi elementi del sangue.
L’aceclofenac può alterare le capacità di guidare e di manovrare macchinari pericolosi.

Acemetacina

Acemetacina

 

L’acemetacina si usa nella terapia dell’artrosi, dell’artrite reumatoide, della spondilite anchilosante, degli attacchi acuti di gotta, della periartrite scapolo-omerale e delle infiammazioni gravi dell’apparato osteoarticolare.

 

Che cos’è l’acemetacina?

L’acemetacina svolge attività antinfiammatoria, analgesica e antipiretica. Opera disturbando a più livelli i processi infiammatori, per esempio bloccando la sintesi delle prostaglandine.

 

Come si prende l’acemetacina?

L’acemetacina si prende per bocca, di solito in forma di capsule. Per minimizzare possibili problemi gastrointestinali la si può prendere a stomaco pieno, combinata con un antiacido.

 

Effetti collaterali dell’acemetacina?

L’acemetacina può provocare problemi gastrointestinali (per esempio emorragie) e provocare ritenzione idrica o diminuzione della perfusione renale.

 

Tra gli altri suoi eventuali effetti collaterali troviamo anche:

nausea

vomito

bruciore di stomaco

dolori addominali

diarrea

crescita delle transaminasi

cefalea

vertigini

tremori

astenia muscolare

parestesie

neuropatie periferiche

convulsioni

ansia

depressione

allucinazioni

problemi della personalità

anemia

agranulocitosi

trombocitopenia

porpora trombocitopenica

epistassi

emorragie vaginali

congiuntivite

fotofobia

disturbi alla vista

iperpotassiemia

ipertensione

edema

sangue nelle urine

proteine nelle urine

nefrite interstiziale

iperazotemia

 

È fondamentale avvertire immediatamente un dottore in presenza di:

rash

orticaria

prurito

problemi respiratori

sensazione di oppressione al petto

gonfiore di bocca, viso, labbra o lingua

 

Controindicazioni e avvertenze

L’acemetacina non è indicata prima dei 14 anni di età, in presenza di asma, orticaria o rinite collegate all’assunzione di Fans, epilessia, sindrome parkinsoniana, insufficienza epatica o renale, scompenso cardiaco congestizio, diatesi emorragica o emorragie in atto, ulcera peptica e certi disturbi gastrici. Non è consigliata alle donne con disturbi di fertilità sicuri o sospetti e a quelle che vogliono concepire un figlio, durante la gravidanza e l’allattamento.

Il medicinale non si deve prendere combinato con anticoagulanti.

 

Prima di prenderlo è fondamentale avvertire il dottore:

di possibili allergie al principio attivo, ai suoi eccipienti, a ogni altro medicinale (nello specifico a indometacina e acido acetilsalicilico), a cibi o ad altre sostanze

dei farmaci, dei fitoterapici e degli integratori presi, nello specifico anticoagulanti, idantoina, salicilati, sulfamidici, sulfaniluree, diuretici, litio, metotressato, antibiotici aminoglucosidici, ACE-inibitori e probenecid

se si soffre (o si ha sofferto) di depressione o altri problemi psicologici o psichiatrici, ipertensione, cardiopatie, disturbi epatici o renali

in presenza di gravidanza o allattamento

 

Nell’eventualità di assunzione a lungo termine è meglio controllare frequentemente la funzionalità renale e quella epatica.

L’acemetacina può alterare le capacità di guidare e di manovrare macchinari pericolosi.

Acidi grassi a media catena

Acidi grassi a media catena

 

Che cosa sono gli acidi grassi a media catena?

Gli acidi grassi a media catena – conosciuti anche come MCT, dall’inglese Medium Chain Triglycerides – sono grassi ricavati dalla lavorazione di oli (di solito di cocco o di semi di palma) per la produzione di prodotti a uso medicinale.

 

A cosa servono gli acidi grassi a media catena?

Gli acidi grassi a media catena vengono inseriti come sorgente di grassi nell’alimentazione di soggetti che non possono assumere grassi di altro tipo. Si prendono insieme alle terapie farmacologiche per affrontare disturbi gastrointestinali tipo diarrea, steatorrea, celiachia, patologie epatiche e disturbi digestivi collegati a gastrectomia o sindrome dell’intestino corto. Inoltre si propongono nella cura di galatturia e chilotorace, disturbi alla cistifellea, fibrosi cistica, AIDS e, nei bambini, per le convulsioni.

 

Si ipotizza che gli acidi grassi a media catena possano facilatare la creazione di sostanze efficaci per l’Alzheimer. Inoltre, certi sportivi li prendono come supporto nutrizionale durante gli allenamenti e per accrescere la massa magra minimizzando contemporaneamente il grasso corporeo.

L’Efsa (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare) non ha approvato i claim che affermano che gli acidi grassi a media catena:

collaborano ad accrescere la sazietà, ad accrescere il consumo energetico e a calare di peso incrementando il metabolismo e hanno la tendenza di diminuire il peso corporeo e il grasso in presenza di sovrappeso;

compresi nell’apporto di grassi suggerito, collaborano a conservare un peso corporeo sano ed equilibrato e collaborano a ostacolare l’accumulo di grasso, principalmente quello addominale;

collaborano nella gestione del peso corporeo e a contenere l’accumulo di grasso.

 

Avvertenze ed eventuali controindicazioni

A quanto pare gli acidi grassi a media catena non possono interferire con medicinali o altre sostanze.

Se presi per bocca vengono ritenuti sicuri per la maggioranza delle persone, però possono provocare effetti collaterali tipo diarrea, vomito, irritabilità, nausea, problemi allo stomaco, meteorismo e mancanze di grassi essenziali, che possono essere parzialmente arginati prendendoli dopo mangiato.

Gli acidi grassi a media catena potrebbero non essere indicati in presenza di diabete, disturbi epatici, gravidanza e allattamento.

In presenza di dubbi è meglio consigliarsi con il proprio dottore.

 

Disclaimer

Le informazioni riportate sono indicazioni generali e non soppiantano in nessuna maniera l’opinione medica. Per assicurarsi un’alimentazione sana e bilanciata è sempre meglio fare affidamento sui consigli del proprio medico curante o di un esperto nutrizionista.

Acido fenofibrico

Acido fenofibrico

 

L’Acido fenofibrico si usa per far diminuire il colesterolo e i trigliceridi nel sangue.

 

Che cos’è l’Acido fenofibrico?

Si tratta di un agente capace di minimizzare i livelli di lipidi nel sangue. Opera accrescendo i livelli di colesterolo HDL (quello “buono”), favorendo l’eliminazione dei trigliceridi dal sangue e abbassando i livelli di colesterolo cattivo.

 

Come si prende l’Acido fenofibrico?

L’Acido fenofibrico si prende per bocca, di solito in forma di pillole o pastiglie.

La sua assunzione deve sempre essere combinata con un regime alimentare adeguato alla conservazione dei livelli di lipidi ematici nella norma.

 

Effetti collaterali dell’Acido fenofibrico

Prendere l’Acido fenofibrico si può collegare a miopatie e a serie reazioni cutanee.

 

Tra gli altri suoi eventuali effetti collaterali troviamo anche:

dolore alla schiena

costipazione

dolore alla testa

nausea

naso che cola

naso chiuso

 

È meglio avvertire immediatamente un dottore in presenza di:

rash

orticaria

prurito

problemi respiratori

dolore o sensazione di oppressione al petto

gonfiore di bocca, viso, labbra o lingua

male, gonfiore, arrossamenti o sensibilità alle gambe o ai polpacci

tosse con sangue

diminuzione della minzione

febbre, brividi o dolore alla gola continuo

dolori, sensibilità o debolezza muscolare

sintomi di disturbi ai reni (per esempio urine scure o feci pallide)

sintomi di una pancreatite

lividi o emorragie

stanchezza o debolezza inusuali

 

Controindicazioni e avvertenze

L’Acido fenofibrico non si deve prendere in presenza di disturbi alla cistifellea o al fegato o di seri problemi renali, né durante l’allattamento.

In presenza di terapie con resine sequestranti gli acidi biliari, bisogna prenderle dalle 4 alle 6 ore prima o un’ora dopo quella dell’acido fenofibrico.

Prima di cominciare la terapia è fondamentale avvertire sempre il dottore:

di allergie al principio attivo, ai suoi eccipienti o ad altri medicinali (nello specifico al fenofibrato) o cibi

dei farmaci, dei fitoterapici e degli integratori presi, menzionando nello specifico betabloccanti, estrogeni, diuretici, colchicina, statine, immunosoppressori o altri medicinali che possono provocare danni ai reni, probenecid e anticoagulanti

se si soffre (o si ha sofferto) di diabete, ipotiroidismo, problemi cardiaci, disturbi alla cistifellea, pancreatite, disturbi renali, epatici o muscolari, trombosi venosa profonda o embolia polmonare

nel caso si fosse in forte sovrappeso

se di ha uno stile di vita poco attivo

se si hanno cattive abitudini alimentari

se si consumano alcolici

in presenza di gravidanza o allattamento

 

È meglio avvertire dottori, chirurghi e dentisti della terapia con Acido fenofibrico.

Acido mefenamico

Acido mefenamico

 

L’acido mefenamico si usa per la terapia a breve termine (non oltre i 7 giorni) del dolore lieve-moderato collegato al ciclo mestruale.

Si usa anche nella cura di artropatie su base connettivitica, artrosi, attacchi acuti di gotta e dolore neoplastico.

 

Che cos’è l’acido mefenamico?

Si tratta di un medicinale antinfiammatorio non steroideo (Fans). Il suo preciso meccanismo di funzionamento non si conosce, però si ritiene che fermi certe sostanze che collaborano nei processi infiammatori.

 

Come si prende l’acido mefenamico?

L’acido mefenamico si prende per bocca. Se provoca disturbi allo stomaco può venire preso insieme a del cibo.

 

Effetti collaterali dell’acido mefenamico

L’acido mefenamico può avere effetti collaterali a livello cardiovascolare. Può anche accrescere il pericolo di emorragie gastrointestinali anche gravi e disturbare i risultati di certe analisi di laboratorio.

 

Tra gli altri suoi eventuali effetti collaterali troviamo anche:

costipazione

diarrea

capogiri

meteorismo

dolore alla testa

bruciori di stomaco

nausea

disturbi allo stomaco

 

È fondamentale avvertire immediatamente un dottore in presenza di:

gonfiori a viso, gola, lingua o labbra

rash

prurito

orticaria

sensazione di oppressione o male al petto

problemi respiratori

feci scure o con sangue

cambiamenti nella quantità di urina prodotta

urine scure

confusione

depressione

svenimenti

battito cardiaco accelerato o irregolare

febbre, brividi o dolore alla gola continuo

alterazioni d’umore o del comportamento

intorpidimento di un braccio o di una gamba

debolezza da una sola parte del corpo

cute arrossata, gonfia, con vesciche o che si desquama

acufene

convulsioni

dolore alla testa o capogiri forti

dolore allo stomaco o nausea intensi o continui

grave vomito

fiato corto

crescita di peso repentino o immotivato

gonfiore di mani, gambe o piedi

lividi o emorragie

dolori muscolari o articolari inusuali

stanchezza o debolezza inusuali

disturbi alla vista o a parlare

vomito che somiglia al caffè

ittero

 

Controindicazioni e avvertenze

Prendere l’acido mefenamico non è indicata nell’ultimo trimestre di gestazione, in presenza di bypass cardiaco recente o programmato e in caso di certi disturbi renali, ulcere o infiammazioni gastrointestinali.

In più, prima di prenderlo è meglio avvertire il dottore:

di allergie al principio attivo, ad altri medicinali (nello specifico all’aspirina o ad altri Fans), ad altre sostanze o a cibi

dei farmaci, dei fitoterapici e degli integratori presi, nello specifico antiocagulanti, aspirina, corticosteroidi, eparina, SSRI, idrossido di magnesio, probenecid, ciclosporina, litio, metotressato, chinoloni, sulfoniluree, ACE inibitori e diuretici

se si soffre (o si ha sofferto) di patologie epatiche, diabete, disturbi gastrointestinali, gonfiori o ritenzione idrica, asma, polipi nasali, infiammazioni del cavo orale, pressione elevata, patologie del sangue, emorragie, problemi della coagulazione, disturbi cardiovascolari o se si è a rischio di questi problemi

in presenza di stato di salute precario

in presenza di disidratazione, ipovolemia o bassi livelli di sodio nel sangue

se si consumano alcolici

in presenza di un passato da alcolista

in presenza di gravidanza o allattamento

 

L’acido mefenamico può alterare le capacità di guidare e di manovrare macchinari pericolosi. Questo effetto collaterale può venire aggravato dagli alcolici e da certi farmaci.

Acido tiaprofenico

Acido tiaprofenico

 

L’acido tiaprofenico si usa per lenire dolore e infiammazione collegati a patologie reumatiche e per curare sindromi dolorose collegate a traumi a muscoli o articolazioni.

 

Che cos’è l’acido tiaprofenico?

Si tratta di un medicinale antinfiammatorio non steroideo (Fans). AgiOperasce fermando l’azione degli enzimi cicloossigenasi, andando così a disturbare la generazione di certe molecole (le prostaglandine) che provocano dolore e infiammazione.

 

Come si prende l’acido tiaprofenico?

L’acido tiaprofenico si prende per bocca, dopo mangiato.

Di solito il dottore consiglia una dose inizialmente bassa per poi magari aumentarla in presenza di bisogno.

 

Effetti collaterali dell’acido tiaprofenico

L’acido tiaprofenico può intensificare i sintomi dell’asma.

Tra gli altri suoi eventuali effetti collaterali troviamo anche:

senso di malessere

indigestione

bruciori di stomaco

capogiri

sonnolenza

costipazione

diarrea

dolore alla testa

 

È fondamentale avvertire immediatamente un dottore in presenza di:

gonfiori a viso, gola, lingua o labbra

rash

prurito

orticaria

sensazione di oppressione o male al petto

problemi respiratori

crescita della frequenza della minzione

sangue nelle urine

feci scure o sangue nelle feci

sangue nel vomito

intensi dolori addominali

 

Controindicazioni e avvertenze

Prima di prendere acido tiaprofenico è meglio avvertire il dottore:

di allergie al principio attivo, ad altri medicinali (nello specifico all’aspirina o ad altri Fans), ad altre sostanze o anche a dei cibi

dei farmaci, dei fitoterapici e degli integratori presi

se si soffre (o si ha sofferto) di patologie e infezioni delle vie urinarie, asma, problemi allergici, ulcere gastriche o duodenali, patologie infiammatorie intestinali, patologie epatiche, renali, cardiovascolari o alla prostata, disturbi di circolazione, pressione elevata, problemi della coagulazione, patologie dei tessuti connettivi

in presenza di gravidanza o allattamento

 

È fondamentale avvertire sempre dottori, chirurghi e dentisti che si prende l’acido tiaprofenico.

Il medicinale può alterare le capacità di guidare o di manovrare macchinari pericolosi.

Acne

Acne

 

L’acne consiste in un’infiammazione dei follicoli pilosebacei e si presenta in linea di massima con i brufoli, i quali prima si formano inizialmente come comedoni (i punti neri) per poi dare avita a papule o pustole (brufoli) o anche ai più gravi noduli e cisti. L’acne si presenta principalmente nelle zone di viso, collo, torace e dorso. Anche se non si tratta di una patologia grave, l’acne nella sua forma più intensa induce anche a cicatrici inestetiche e permanenti che possono anche influenzare negativamente la psiche.

 

Che cos’è l’acne?

L’acne può essere di tipo giovanile o tardiva, cioè un disturbo che compare in età post adolescenziale o dell’adulto.

La prima compare insieme allo sviluppo sessuale e solitamente tende a scomparire alla fine di questo periodo o perdurare nell’adulto.

L’acne tarda o tardiva compare nell’adulto anche senza aver sofferto di acne giovanile.

Dal punto di vista clinico, si parla di acne comedonica, cistica, conglobata ecc., in base alla prevalenza di comedoni, cisti ecc.

 

Quali sono le cause dell’acne?

La comparsa degli ormoni nel periodo dell’adolescenza causa l’aumento di volume delle ghiandole sebacee e l’inizio della produzione del sebo. Il sebo è una secrezione oleosa, che serve a proteggere la cute dalle infezioni. In alcuni soggetti maggiormente predisposti, il sebo svolge un’azione irritante e induce la formazione del comedone o punto nero.

Il comedone è come un tappo, che impedisce lo scorrimento del sebo dalla ghiandola alla superficie della cute. I grassi che compongono il sebo, ristagnando, si degradano e diventano irritanti. Si sviluppano in eccesso i batteri. Infine, può avvenire una distruzione del follicolo con la formazione della relativa cicatrice.

La causa più importante dell’insorgenza dell’acne è la familiarità, cioè una predisposizione specifica a sviluppare questo disturbo. Intervengono poi fattori esterni come l’igiene, l’inquinamento ambientale, i disordini di alimentazione e, soprattutto, lo stress. Lo stress può far peggiorare l’acne ed il peggioramento dell’acne può provocare stress: si crea così un circolo vizioso.

Al contrario di quanto pensano la maggior parte degli utenti, alimenti molto grassi quali cioccolato, insaccati, formaggi, non creano l’acne. Tuttavia, un’alimentazione troppo calorica, soprattutto negli adolescenti, può far peggiorare un’acne già in atto, oltre a far aumentare il peso.

Un altro comportamento che si vede spesso ed è basato su un concetto sbagliato: il paziente con acne cerca di lavarsi con frequenza, spesso con molto sapone, nel tentativo di “asciugare” la cute seborroica e acneica; purtroppo, facendo questo aumenta la secrezione di sebo e l’irritazione, quindi peggiora l’acne. Quando si ha l’acne occorre lavarsi poco, non strofinare ed utilizzare poco sapone. Nei casi con molta infiammazione, poi, il sapone va sostituito con una crema da lavaggio.

Infine, lo schiacciamento dei punti neri o dei foruncoli provoca una diffusione dell’infiammazione, quindi aumenta la possibilità di formazione di cicatrici. Anche la pulizia del volto dall’estetista, che tenta di togliere i punti neri, è da evitare per gli stessi motivi.

 

Quali sono i sintomi dell’acne?

La comparsa di comedoni o punti neri, di foruncoli, di cisti e di noduli su viso, collo, petto e schiena. Normalmente, non si tratta di una patologia grave ma, nei casi più seri, per evitare la comparsa di cicatrici e segni permanenti, è bene rivolgersi ad uno specialista di dermatologia.

 

Diagnosi

La diagnosi è di tipo clinico ed al dermatologo spetta individuare le concause e indagare sui comportamenti sbagliati, al fine poi di consigliare il trattamento più adatto alle esigenze del singolo paziente.

 

Trattamenti

Un tempo si pensava che l’acne fosse una malattia causata di batteri presenti nel follicolo (teoria batterica), capaci di produrre acidi grassi dotati di attività infiammatoria. In realtà, studi più recenti hanno dimostrato che i batteri svolgono un ruolo secondario nell’acne e quindi il trattamento con antibiotici non è più indicato. Inoltre, gli antibiotici che si usavano per l’acne erano spesso poco tollerati dal fegato e reagivano con la luce del sole (fototossicità). La cura moderna dell’acne non prevede l’uso di antibiotici, nemmeno per applicazione locale.

Alle ragazze o alle donne che hanno l’acne viene spesso prescritta la pillola contraccettiva semplice, o con aggiunta di antiandrogeni. Questo comportamento terapeutico deriva dalla falsa premessa che l’acne sia causata da una disfunzione degli ormoni sessuali. In realtà, le adolescenti o le donne con acne non hanno affatto disfunzioni ormonali. L’impiego della pillola contraccettiva per la cura dell’acne, oltre a non produrre un significativo miglioramento, espone ai rischi dell’uso di estrogeni e antiandrogeni, fra i quali vi sono aumento di peso, comparsa di cellulite, ipertensione, alterazioni del fegato, pericolo di trombosi. Per questi motivi, non si dovrebbe usare la pillola anticoncezionale nella cura dell’acne femminile.

Viene definita come pillola anti-acne una pillola a base di acido retinoico, un derivato della Vitamina A, che agisce impedendo la formazione dei comedoni e delle cisti che sono alla base dello sviluppo dell’acne. L’acido retinoico è quindi un trattamento specifico ed efficace, che ha tuttavia molti effetti collaterali. Tra i più comuni: secchezza cutanea e degli occhi, mal di testa, aumento del colesterolo, calcificazioni e depressione psichica.

Inoltre, questo farmaco, in caso di gravidanza, può indurre gravi malformazioni fetali. Per questo, l’impiego di acido retinoico per via orale è circoscritto ad alcuni casi particolari. L’acido retinoico funziona anche se applicato direttamente sulla cute acneica, evitando così i problemi di tossicità del farmaco assunto per bocca. Tuttavia, data la sua potente attività, si applica, di solito, una sola volta alla settimana e va integrato con il micropeeling.

Il micropeeling consiste nel frizionare le zone interessate dall’acne con la lozione glicoalcolica composta da acido glicoloco e acido salicilico a bassa concentrazione. Questa lozione disinfetta e aumenta l’azione desquamante, liberando i follicoli dai comedoni e quindi, nel tempo, spegnendo l’acne. Poiché la tecnica del micropeeling non comporta l’uso di farmaci, il trattamento può essere fatto da tutti e protratto anche per anni, cioè fino a che l’acne non regredisce spontaneamente. In accoppata con il micropeeling, nei casi più seri, funziona bene la terapia fotodinamica, una moderna forma di trattamento mediante la luce, utile per ridurre l’infiammazione (nelle forme maggiormente infiammate) e permettere di continuare con il micro peeling.

 

Prevenzione

Se si è predisposti all’Acne occorre:

Evitare di applicare creme sul volto, comprese quelle solari.

Non utilizzare trucchi in crema come i fondotinta, ma trucchi minerali.

Struccarsi con creme da lavaggio e non con latte detergente

Evitare di schiacciare i punti neri ed evitare la pulizia del volto

Evitare le forti esposizioni al sole,e le lampade UV

Una volta che l’acne è scomparsa, è possibile continuare un trattamento micro peeling discontinuato per evitare che si formino nuovamente i foruncoli.

Acne cistica

Acne cistica

 

L’acne cistica è un particolare disturbo dalle caratteristiche cronico-infiammatorie localizzabili nel follicolo pilifero e delle ghiandole sebacee e si presenta con comedoni (punti neri chiusi e aperti), papule (elementi infiammati) e pustole (brufoli col puntino bianco o giallo).

Il comedone è un accumulo squamoso che si presenta come tappo allo sbocco dei follicoli, le papule e le pustole si formano invece a causa della crescita affrettata dei batteri della pelle all’interno dei follicoli.

 

Che cos’è l’acne cistica?

L’acne cistica è la forma più grave di acne e compare nel periodo della pubertà o tra i 20 e i 30 anni e si caratterizza per i noduli e le cisti di diversa grandezza sulle zone di viso e tronco. A soffrirne possono essere sia donne che uomini.

 

Da cosa è originata l’acne cistica?

Attualmente non sono ancora note le cause scatenanti dell’acne cistica, la comunità medica ritiene comunque che questa forma acuta possa essere connessa all’eccessiva attivazione delle ghiandole sebacee per stimolo neuroendocrino. I noduli si formano a partire dall’accumulo di secrezioni in profondità. Le cisti sono grumi pieni di pus sotto la superficie della pelle, sono dolorose e possono causare cicatrici, soprattutto se viene trattata in modo opportuno.

 

Quali sono i sintomi dell’acne cistica?

I sintomi dell’acne cistica sono la presenza dei noduli e cisti, infiammazione e dolore.

 

Come prevenire l’acne cistica?

I soggetti affetti da questo tipo di acne dovrebbero seguire i consigli di seguito per trattare il disturbo:

  • Detergere con regolarità, ma non troppo frequentemente, la pelle con prodotti delicati e non schiumogeni. Per detergere la pelle da cellule morte e dal sebo in eccesso senza irritarla sono sufficienti due pulizie al giorno.
  • Non utilizzare cosmetici in crema perché favoriscono l’acne e utilizzare i trucchi minerali.
  • Struccarsi con detergente non schiumogeno prima di andare a dormire ogni sera per far respirare la pelle.
  • Non sfregare la pelle con tessuti che possano peggiorano l’acne quali tessuti di cotone, colli aperti, niente sciarpe.

 

Durante il periodo estivo la pelle va protetta dall’esposizione solare con foto riflettenti minerali e non con creme solari.

 

Diagnosi

La diagnosi è fatta attraverso esame obiettivo che evidenzia la presenza di noduli e cisti.

 

Trattamenti

Il farmaco più efficace è l’Isotretinoina, un derivato della vitamina A, in grado di far regredire l’acne cistica in quattro/sei mesi di trattamento nella quasi totalità dei casi. Purtroppo questo farmaco, assunto a lungo termine, produce differenti tipi di tossicità e pertanto va usato, sotto controllo dermatologico, solo in casi selezionati.

Nel caso in cui non si possa o voglia prendere l’Isotretinoina si impiega il Micropeeling e la Terapia Fotodinamica: questa metodica produce la guarigione dell’acne cistica in tempi più lunghi ma ha il vantaggio di non assumere farmaci e non avere tossicità.

Acqua di rose

Acqua di rose

 

Che cos’è l’acqua di rose?

L’acqua di rose è un prodotto ricavato dall’estrazione dell’essenza dai petali delle piante del genere Rosa, della famiglia delle Rosaceae.

 

A cosa serve l’acqua di rose?

L’acqua di rose è un prodotto che viene ampiamente utilizzato nella cosmetica. Viene consigliato per la capacità di conservare un corretto pH della cute; di monitorare la produzione eccedente di sebo; di promuovere un’azione antinfiammatoria, adatta per ostacolare gli arrossamenti, le irritazioni, l’acne, la dermatite e gli eczemi; di collaborare a idratare e rivitalizzare la cute; di guarire tagli e altre ferite, irrobustire la cute, ricreare i tessuti e ostacolare le cicatrici.

 

Grazie alle sue proprietà astringenti, l’acqua di rose collabora alla pulizia dei pori, a tonificare la cute e a restringere i capillari, facendo diminuire così il rossore. Inoltre collaborerebbe a ostacolare le rughe e gli altri segni dell’invecchiamento.

L’acqua di rose si usa per preparare le maschere purificanti e peeling naturali, per la dermatite seborroica, le occhiaie, l’acne, gli edemi, la couperose e le rughe. Con i petali di rosa si può anche preparare un decotto da bere, per avvantaggiarsi delle proprietà toniche, astringenti e disinfettanti. La stessa bevanda si consiglia anche per minimizzare i problemi collegati alle mestruazioni e il sanguinamento delle gengive e per ostacolare diarrea, l’abbondante sudorazione, faringiti e calcoli ai reni.

 

Infine, l’acqua di rose è conosciuta per le sue proprietà rilassanti che le darebbero un leggero effetto antidepressivo e che potrebbe risultare adeguato in presenza di ansia e per facilitare il rilassamento e il benessere emotivo. Pare inoltre che faciliti il sonno.

 

Avvertenze e possibili controindicazioni

Non sembra che l’utilizzo esterno di acqua di rose sia collegato a pericoli per la salute. Le risposte allergiche sono infrequenti, però è possibile che questa soluzione naturale provochi bruciori, pizzicori, arrossamenti o altre irritazioni; nell’eventualità in cui dovessero continuare è meglio andare da un dottore.

Inoltre è sempre meglio leggere attentamente tutti gli ingredienti usati nelle preparazioni a base di acqua di rose, per escludere la presenza di molecole che potrebbero provocare allergie o accrescere la sensibilità della cute al sole.

Disclaimer

Le informazioni riportate sono solo indicazioni generali e non soppiantano in nessuna maniera l’opinione del dottore. Per assicurarsi un’alimentazione sana e bilanciata è sempre meglio fare affidamento sui consigli del proprio medico curante o di un esperto nutrizionista.

Acrivastina

Acrivastina

 

L’acrivastina si usa nella terapia dei sintomi delle reazioni allergiche.

 

Che cos’è l’acrivastina?

L’acrivastina opera fermando gli effetti dell’istamina, collaborando a lenire i sintomi delle reazioni allergiche.

 

Come si prende l’acrivastina?

L’acrivastina si prende per bocca, da sola o insieme ad altri medicinali.

 

Effetti collaterali dell’acrivastina

Tra gli eventuali effetti collaterali dell’acrivastina si può trovare anche una lieve sonnolenza.

 

È fondamentale avvertire immediatamente un medico in presenza di:

gonfiori a viso, gola, lingua o labbra

rash

prurito

orticaria

sensazione di oppressione o male al petto

problemi respiratori

 

Controindicazioni e avvertenze

Prima di prendere la acrivastina è meglio avvertire il dottore:

di allergie al principio attivo, ad altri medicinali (nello specifico ad altri antistaminici), ad altre sostanze o ai cibi

dei farmaci, dei fitoterapici e degli integratori presi

se si soffre (o si ha sofferto) di disturbi renali o porfiria

in presenza di gravidanza o allattamento

Durante la cura è assolutamente necessario limitare il consumo di alcolici.

In certi soggetti il medicinale può provocare una leggera sonnolenza. Per questo è meglio prestare attenzione prima di mettersi alla guida o manovrare macchinari pericolosi.

Agretti

Agretti

 

Che cosa sono gli agretti?

Dal nome scientifico Salsola kali – ma conosciuti anche anche come barba di frate, lischi, roscano o miniscordi – sono una pianta della Famiglia delle Chenopodiaceae. Hanno una conformazione particolare: sono infatti sottili, lunghi, e uniti in piccoli gruppi, dalla colorazione verde intensa. Hanno un sapore leggermente acre, da cui deriva anche il nome.

 

Quali sono le proprietà nutrizionali?

100 gr. di agretti, cotti in acqua senza aggiunta di sale, apportano circa 45 calorie, ripartite nel seguente modo:

47% carboidrati

43% proteine

10% lipidi

 

Nello specifico, 100 gr. di agretti, cotti in acqua senza aggiunta di sale, contengono:

79,4 g di acqua

5,6 g di carboidrati

5,6 g di zuccheri solubili

2,3 g di fibra totale (fibra solubile 0,41 g; fibra insolubile 1,88 g)

4,8 g di proteine

0,5 g di lipidi

Tra i minerali i più riscontrati ci sono il fosforo ed il calcio seguiti da potassio, sodio, magnesio e ferro. Tra le vitamine vanno segnalate quelle A e C nonchè alcune vitamine del gruppo B, soprattutto B3 (Niacina o vitamina PP).

Quando non mangiare gli agretti?

Non sono al momento conosciute interazioni tra il consumo di agretti e l’assunzione di medicinali o altre sostanze.

 

Stagionalità degli agretti

Gli agretti vengono piantati a dicembre e si raccolgono da marzo a fine maggio. Sono pertanto reperibili sul mercato nella stagione primaverile.

 

Possibili benefici e controindicazioni

Atteso l’importante apporto di fibre, essi risultano essere un valido supporto per aumentare il senso di sazietà e facilitare il transito intestinale; possono altresì risultare leggermente lassativi. Il loro limitato apporto di calorie ne fa un alimento ideale per i regimi alimentari a basso contenuto calorico. Hanno infine proprietà diuretiche e depurative.

Ad oggi non sono note controindicazioni al loro impiego, salvo non si sia allergici a questo vegetale.

 

Disclaimer

Le informazioni riportate rappresentano indicazioni generali e non sostituiscono in alcun modo il parere medico. Per garantirsi un’alimentazione sana ed equilibrata è sempre bene affidarsi ai consigli del proprio medico curante o di un esperto di nutrizione.

Aguaje

Aguaje

 

Che cos’è l’aguaje?

Si tratta del frutto della Mauritia flexuosa, specie che appartiene alla famiglia della Arecaceae nota anche come moriche, canangucha, burití, e mirití o aguaje. Tale pianta – dall’aspetto simile a una comune palma – è diffusa nel Centro e nel Sud America.

 

Quali sono le proprietà nutrizionali dell’aguaje?

100 gr. di tale frutto apportano 526 Calorie, il 46% sotto forma di carboidrati, il 38,6% sotto forma di grassi e l’11% sotto forma di proteine.

Inoltre 100 gr. di aguaje contengono:

0,85 mg di riboflavina

2,57 mg di niacina

0,11 mg di tiamina

91 µg di carotene

415,4 mg di calcio

69,9 mg di fosforo

fibre (41,9%)

vitamina A

vitamina C

vitamina E

12,9 mg di ferro

Le quantità di vitamina A – che si rinvengono sotto forma di carotenoidi – possono essere anche di cinque volte superiori di quelle rilevabili nelle carote. Tale frutto è altresì una buona fonte di fitoestrogeni e di acido oleico.

 

Quando non mangiare l’aguaje?

Non risultano esservi condizioni accertate in cui il suo impiego potrebbe interferire con medicinali o altre sostanze.

 

Stagionalità dell’aguaje

I suoi frutti maturano da dicembre a giugno.

 

Possibili benefici e controindicazioni dell’aguaje

Il suo elevato contenuto in carotenoidi lo rende un possibile alleato della salute di tessuti molli, membrane mucose, pelle, ossa e denti. La cute può trarre benefici anche dal buon contenuto di vitamina C e E, tipico di questo frutto. Sembra anche che l’aguaje possieda una naturale attività antinfiammatoria che potrebbe aiutare a lenire rossori e problematiche dermatologiche (come la psoriasi e l’eczema).

Dal frutto è difatti possibile ricavare un olio – ricco di acido oleico, tocoferolo (vitamina E) e carotenoidi (soprattutto beta carotene) – molto impiegato in cosmesi soprattutto per prodotti pensati per la cura della pelle. L’effetto ricercato è di tipo idratante, in particolar modo per curare la pelle durante l’inverno e l’invecchiamento, ma non solo. L’olio estratto dalla polpa presenta proprietà lenitive e viene utilizzato per trattare le ustioni. Infine, l’olio di aguaje sembra riuscire a filtrare e assorbire le radiazioni ultraviolette presenti nei raggi solari, e potrebbe pertanto contribuire nella prevenzione del cancro.

 

Disclaimer

Le seguenti informazioni rappresentano indicazioni generali e non sostituiscono in alcun modo il parere medico. Per garantirsi un’alimentazione sana ed equilibrata è sempre bene affidarsi ai consigli del proprio medico curante o di un esperto di nutrizione.