Exubera

Exubera

 

S’impiega nel trattamento del diabete di tipo 1 e del diabete di tipo 2.

 

Che cos’è l’exubera?

E’ una forma di insulina umana ad azione rapida che esplica la sua azione promuovendo la riduzione dei livelli di glucosio nel sangue.

 

Come si assume l’exubera?

Viene somministrata a mezzo di inalazione attraverso la bocca.

 

Effetti collaterali dell’exubera

Il trattamento a base di exubera può associarsi a ipoglicemia.

 

Fra gli altri suoi possibili effetti indesiderati sono inclusi:

tosse

male alla gola

naso chiuso o che cola

fauci secche

male all’orecchio

 

È importante ricorrere subito alle cure di un medico in caso di:

rash

orticaria

prurito

difficoltà a respirare

senso di pesantezza o oppressione al petto

gonfiore a bocca, volto, labbra o lingua

 

Controindicazioni e avvertenze

Il suo impiego è controindicato ai fumatori e a chi ha smesso di fumare da meno di sei mesi.

Prima dell’assunzione è importante rendere edotto il medico:

circa la presenza di eventuali allergie al principio attivo, ai suoi eccipienti, a qualsiasi altro farmaco, ad alimenti o ad altre sostanze

dei medicinali, dei fitoterapici e degli integratori già assunti per il passato

se si soffre (o si è sofferto in pregresso) di malattie renali, epatiche o polmonari

in caso di donne gravide o in fase di allattamento

Ezetimibe

Ezetimibe

 

S’impiega principalmente nel trattamento del colesterolo alto.

 

Che cos’è l’ezetimibe?

Riduce la quantità di colesterolo assorbita dall’organismo.

 

Come si assume l’ezetimibe?

Si somministra per via orale; talvolta insieme ad altri farmaci per ridurre il colesterolo.

La sua assunzione deve avvenire contestualmente ad un adeguato programma alimentare e di attività fisica.

 

Effetti collaterali dell’ezetimibe

In rari casi i farmaci per abbassare il colesterolo possono condurre alla perdita dei muscolo scheletrico, aumentando in tal modo il rischio di insufficienza renale.

 

Fra gli altri suoi possibili effetti indesiderati si possono includere:

intorpidimenti o pizzicore

stato di depressione

naso chiuso o che cola

sintomi di un raffreddore

dolore alla schiena o dolore a livello articolare

tosse

lieve mal di stomaco

scariche di diarrea

sensazione di stanchezza

mal di testa

capogiri

 

È bene rivolgersi subito ad un medico in caso di:

rash

orticaria

prurito

difficoltà a respirare

senso di pesantezza, oppressione o dolore al petto

gonfiore a bocca, volto, labbra o lingua

debolezza, sensibilità o dolori muscolari insoliti

feci color argilla

ittero

pancreatite

febbre, mal di gola e mal di testa associati a grave rash cutaneo, vesciche e desquamazione dell’epidermide

senso di nausea

male allo stomaco

febbriciattola

calo dell’appetito

urine scure

 

Controindicazioni e avvertenze

Non dovrebbe essere assunta contemporaneamente a colestiramina, colestipolo o colesevelam: è necessario aspettare almeno 4 ore dopo aver assunto uno di questi farmaci, oppure assumerla almeno 2 ore prima di questi medicinali.

Prima della cura è importante informare il medico:

circa la presenza di allergie al principio attivo, ai suoi eccipienti, ad altri farmaci, ad altre sostanze o ad alimenti

dei medicinali, dei fitoterapici e degli integratori già assunti in passato, citando in particolare colestiramina, colestipolo, colesevelam, gemfibrozil, steroidi e ormoni (inclusa la pillola anticoncezionale), ciclosporina e anticoagulanti

se si soffre (o si ha sofferto) di malattie renali o disturbi alla tiroide

in caso di donne gravide o in fase di allattamento

 

Prima di osservare miglioramenti nel livello di colesterolo potrebbero essere necessarie almeno 2 settimane di trattamento.

Fagioli

Fagioli

 

Che cosa sono i fagioli?

I fagioli (Phaseolus vulgaris) sono i semi di una pianta erbacea che appartiene alla famiglia delle Leguminose Papillionacee. Esistono moltissime tipologie di fagiolo: si suppone che siano più di 500. In Italia le varietà più comuni sono il fagiolo borlotto e il cannellino, consumate in tutto il territorio nazionale, nonostante vengano affiancate in molte cucine regionali da varietà di fagioli tipiche di alcune zone della penisola come i fagioli all’occhio, i fagioli neri, i fagioli zolfini (tipici della Toscana), i fagioli Lamon (che provengono dal Veneto).

 

Che proprietà nutrizionali hanno i fagioli?

100 grammi di fagioli cotti (bolliti in acqua distillata senza aggiunta di sale e scolati) apportano circa 102 Calorie, suddivise in 31% di proteine, 6% di lipidi, 63% di carboidrati

 

In particolare, 100 grammi di fagioli (bolliti in acqua distillata senza aggiunta di sale e scolati) contengono circa:

70 g di acqua

7,9 g di proteine

0,7 g di lipidi

17 g di carboidrati

14,4 g di amido

1,2 g di zuccheri solubili

7,8 g di fibra totale (fibra solubile 1,05 g e fibra insolubile 6.78 g)

2 mg di ferro

0,2 mg di zinco

1,4 µg di selenio

Possibili effetti collaterali dei fagioli

Non esistono a oggi testimonianze di condizioni in cui il consumo di fagioli potrebbe interferire con farmaci o altre sostanze.

Stagionalità dei fagioli

I fagioli freschi si raccolgono in estate, ma sono presenti nei supermercati durante tutto l’anno in quanto il loro consumo avviene anche previa essiccazione. I fagioli vengono inoltre venduti in barattolo, quindi utilizzati già lessati.

 

Possibili benefici e controindicazioni dei fagioli

Come tutti i legumi, i fagioli hanno diverse proprietà benefiche. Tra le caratteristiche principali la più considerevole è sicuramente il loro elevato contenuto di fibre, che favorisce il funzionamento dell’intestino e comporta un senso di sazietà. I fagioli contengono anche la lecitina che viene considerata un valido aiuto per contrastare l’eccesso di colesterolo nel sangue: l’azione di questa sostanza, infatti, consiste nello sciogliere i lipidi impedendone il deposito nel sangue. Alcuni studi sostengono che i fagioli potrebbero essere un valido aiuto contro l’aterosclerosi, ma questa proprietà deve essere ancora scientificamente convalidata. Inoltre nei fagioli sono contenute discrete quantità di calcio, fosforo, potassio e ferro, anche se i dati possono variare notevolmente da varietà a varietà. Infine, sembra che i baccelli di fagiolo abbiano proprietà diuretiche e antidiabetiche.

Non si ha nota di controindicazioni al loro consumo, eccetto casi di allergie specifici. Tuttavia, come nel caso di tutti gli altri legumi, è consigliabile non consumare troppi fagioli in caso di predisposizione a problemi intestinali, come la colite, che potrebbero peggiorare con l’assunzione di questo alimento.

 

Disclaimer

Le informazioni riportate rappresentano indicazioni generali e non sostituiscono in alcun modo il parere medico. Per garantirsi un’alimentazione sana ed equilibrata è sempre bene affidarsi ai consigli del proprio medico curante o di un esperto di nutrizione.

Fagiolini

Fagiolini

 

Che cosa sono i fagiolini?

I fagiolini, chiamati anche cornetti, sono i baccelli non maturi del Phaseolus vulgaris, una specie che appartiene alla famiglia delle Fabaceae.

 

Che proprietà nutrizionali hanno i fagiolini?

100 g di fagiolini apportano:

31 Calorie

7,13 g di carboidrati

1,82 g di proteine

0,34 g di lipidi

3,4 g di fibre

16,3 mg di vitamina C

0,752 mg di niacina

0,105 mg di riboflavina

0,094 mg di acido pantotenico

0,084 mg di tiamina

0,074 mg di piridossina

690 UI di vitamina A

37 µg di folati

14,4 µg di vitamina K

209 mg di potassio

38 mg di fosforo

37 mg di calcio

25 mg di magnesio

6 mg di sodio

1,04 mg di ferro

0,24 mg di zinco

0,214 mg di manganese

In 100 g di fagiolini sono presenti 69 µg di alfa-carotene, 379 µg di beta-carotene e 640 µg di luteina e zeaxantina.

 

Possibili effetti collaterali dei fagiolini

Non si ha evidenza di possibili interazioni tra il consumo di fagiolini e l’assunzione di farmaci o altre sostanze. È consigliabile consultare il proprio medico in caso di dubbi.

 

Stagionalità dei fagiolini

In Italia i fagiolini sono disponibili nella stagione che inizia a maggio e termina a settembre.

 

Possibili benefici e controindicazioni dei fagiolini

Le fibre dei fagiolini promuovono la buona funzionalità dell’intestino e contribuiscono a proteggerlo da sostanze potenzialmente dannose, diminuendo così il rischio di cancro; è possibile, inoltre, che contribuiscano a ridurre l’assorbimento di colesterolo e zuccheri, aiutando così a tenere sotto controllo glicemia e colesterolemia.

Le vitamine A e C, luteina, zeaxantina e i caroteni contribuiscono a proteggere l’organismo dai radicali liberi e dalle specie reattive dell’ossigeno. In special modo la zeaxantina agisce nella retina, proteggendo dalla degenerazione maculare senile. Folati e vitamina B12 partecipano alla sintesi del DNA e alla divisione cellulare; inoltre i primi contribuiscono a ridurre il rischio di gravi alterazioni nello sviluppo del sistema nervoso del feto. Le altre vitamine del gruppo B contribuiscono invece ad assicurare il buon funzionamento del metabolismo, e la vitamina C favorisce buone difese contro gli agenti infettivi.

Fra i minerali contenuti, il potassio stimola la buona salute cardiovascolare e il manganese è un aiuto per il buon funzionamento delle armi antiossidanti dell’organismo.

I fagiolini rappresentano anche una fonte di acido ossalico, sostanza che può facilitare la formazione di calcoli.

 

Disclaimer

Le informazioni riportate rappresentano indicazioni generali e non sostituiscono in alcun modo il parere medico. Per garantirsi un’alimentazione sana ed equilibrata è sempre bene affidarsi ai consigli del proprio medico curante o di un esperto di nutrizione.

Farine di grano tenero semi integrale e integrale

Farine di grano tenero semi integrale e integrale

 

Che cosa sono le farine di grano tenero semi-integrale e integrale?

La farina di grano tenero è il prodotto derivato dalla macinazione del frumento (grano) tenero (Triticum aestivum). Questa farina è la più utilizzata e comune a livello commerciale e ne esistono diverse tipologie, più o meno lavorate.

Nella farina integrale sono contenute tutte le parti del chicco, che vengono invece eliminate nelle farine più raffinate. È la farina che veniva impiegata esclusivamente fino ad alcuni decenni fa, prima che si scoprisse che l’estrema lavorazione della farina avesse come conseguenza la realizzazione di un prodotto più sottile con il quale ottenere un pane più soffice e più bianco.

 

Nella farina semi-integrale, chiamata anche “farina tipo 2”, sono contenute quasi tutte le parti del chicco di frumento.

Le altre farine sono: la “farina tipo 00” (la più lavorata, con la grana più fine; è il prodotto derivato dalla macinazione del chicco di grano di cui si eliminano sia il germe – ricco di vitamine e minerali – che la crusca – ricca di fibre); la “farina tipo 0” (meno raffinata della precedente, in cui è presente una piccolissima percentuale di crusca); la “farina tipo 1” (meno raffinata del tipo 0, contiene una maggiore percentuale di crusca).

Che proprietà nutrizionali hanno le farine di grano tenero semi integrale e integrale?

La farina di grano tenero integrale è quella più completa dal punto di vista nutrizionale poiché è l’unica che conserva le fibre e i minerali presenti nel chicco di frumento da cui deriva; anche la farina 2 o semi-integrale, poco più raffinata di quella integrale, mantiene buone caratteristiche nutrizionali.

 

100 grammi di farina di grano tenero integrale sviluppano 319 Calorie e contengono approssimativamente:

13,5 g di acqua

12 g di proteine

1,9 g di lipidi

68 g di carboidrati

60 g di amido

2,1 g di zuccheri

8,4 g di fibre

3 mg di sodio

337 mg di potassio

3 mg di ferro

28 mg di calcio

300 mg di fosforo

0,4 mg di vitamina B1 o Tiamina

0,16 mg di vitamina B2 o Riboflavina

5 mg di vitamina B3 o Niacina

0,4 mg di vitamina E

 

Possibili effetti collaterali delle farine di grano tenero semi-integrale e integrale

A oggi non si ha evidenza di eventuali interazioni tra il consumo di farina di frumento tenero e l’assunzione di farmaci o altre sostanze. Tuttavia, gli alimenti prodotti con farina di frumento tenero contengono glutine, per cui non possono essere consumati da soggetti celiaci o con intolleranza al glutine.

 

Quando è possibile reperire le farine di grano tenero semi-integrale e integrale

Le farine di frumento semi-integrale e integrale sono disponibili sul mercato tutto l’anno.

 

Possibili benefici e controindicazioni

Le farine di frumento tenero semi-integrale e integrale sono molto energetiche e forniscono un lento rilascio di glucosio nel sangue assicurando all’organismo energia a lungo termine. Gli alimenti a base di farina integrale e semi-integrale contribuiscono, inoltre, alla regolarizzazione dell’attività intestinale: a differenza delle tipologie di farina di grano tenero più raffinate, infatti, nelle farine integrali e semi-integrali sono presenti quantitativi di fibre decisamente maggiori e la maggior parte sono fibre insolubili, ovvero quelle più adatte a favorire la funzionalità intestinale in quanto riducono il tempo di transito intestinale e aumentano la massa fecale.

Pertanto, dal punto di vista nutrizionale è consigliabile consumare la farina integrale o quella semi-integrale perché contengono percentuali più alte di fibre e minerali.

Non si ha nota di particolari controindicazioni al consumo: è bene ricordare, però, che in queste farine è contenuto il glutine, per cui non possono essere consumate da soggetti con intolleranza al glutine o con celiachia. Se consumate in grandi quantità e/o se la loro assunzione è prolungata nel tempo, queste farine possono risultare lassative: i soggetti con tendenza a disturbi intestinali come la colite, quindi, devono prestare particolare attenzione.

 

Disclaimer

Le informazioni riportate rappresentano indicazioni generali e non sostituiscono in alcun modo il parere medico. Per garantirsi un’alimentazione sana ed equilibrata è sempre bene affidarsi ai consigli del proprio medico curante o di un esperto di nutrizione.

Fasolari

Fasolari

 

Che cosa sono i fasolari?

I fasolari (Callista chione) sono molluschi che appartengono alla famiglia Veneridae. Simili alle vongole, sono caratterizzati da conchiglie color marrone chiaro con venature più scure. Si trovano nel Mar Mediterraneo e nell’Oceano Atlantico nord-orientale.

 

Che proprietà nutrizionali hanno i fasolari?

100 g di fasolari apportano:

52 Calorie, circa

8,5 g di proteine

1 g di carboidrati

0,47 g di lipidi, fra cui colesterolo

20,5 mg di magnesio

2,0 mg di ferro

1,25 mg di zinco

 

Possibili effetti collaterali dei fasolari

Non si ha evidenza di interazioni fra il consumo di fasolari e l’assunzione di farmaci o altre sostanze. È consigliabile consultare il proprio medico in caso di dubbi.

 

Stagionalità dei fasolari

È possibile trovare i fasolari sul mercato tutto l’anno.

 

Possibili benefici e controindicazioni dei fasolari

I fasolari sono considerati alimenti alleati della dieta, grazie al loro limitato apporto di calorie. Tuttavia, come gli altri molluschi, rappresentano una fonte di dosi non trascurabili di colesterolo: una molecola fondamentale per l’organismo, ma che, allo stesso tempo, può mettere in pericolo la salute cardiovascolare se assunta in quantità eccessive. È possibile, infatti, che il colesterolo si depositi nella parete delle arterie, prendendo parte così al fenomeno dell’aterosclerosi. Le placche aterosclerotiche che si possono formare rappresentano un ostacolo per il flusso del sangue e possono determinare la formazione di trombi con il rischio di insorgenza di eventi pericolosi come l’infarto e l’ictus. Per questo motivo è consigliabile non esagerare con il consumo di cibi ricchi di colesterolo, come i molluschi, e ricordare le Linee Guida per la Prevenzione dell’Aterosclerosi del Ministero della Salute secondo cui l’apporto quotidiano di colesterolo non dovrebbe superare i 300 mg nel caso degli adulti sani e i 200 mg nel caso di chi è già affetto da problemi cardiovascolari.

È altresì vero, tuttavia, che l’introduzione dei fasolari nell’alimentazione consente di rifornire l’organismo di proteine di qualità elevata e di minerali importanti per il metabolismo intracellulare ed extracellulare (in special modo magnesio), per il funzionamento della tiroide e la formazione di ossa e muscoli (lo zinco) e per evitare l’anemia (il ferro).

Il consumo di fasolari potrebbe provocare delle allergie.

 

Disclaimer

Le informazioni riportate rappresentano indicazioni generali e non sostituiscono in alcun modo il parere medico. Per garantirsi un’alimentazione sana ed equilibrata è sempre bene affidarsi ai consigli del proprio medico curante o di un esperto di nutrizione.

Fave

Fave

 

Che cosa sono le fave?

Le fave sono i semi della Vicia faba, una specie che appartiene alla famiglia delle Fabaceae. Questi legumi hanno origine probabilmente in Asia Minore o in area mediterranea.

 

Che proprietà nutrizionali hanno le fave?

100 g di fave secche, sgusciate e crude, apportano 341 Calorie suddivise in 60% di carboidrati, 32% di proteine, 8% di lipidi

In particolare, in 100 g di fave secche, sgusciate e crude, si trovano:

11,3 g di acqua

27,2 g di proteine

4,9 g di zuccheri solubili

3 g di lipidi

7 g di fibre

4 mg di vitamina C

2,6 mg di niacina

0,5 mg di tiamina

0,28 mg di riboflavina

14,4 µg di vitamina A (retinolo equivalente)

420 mg di fosforo

90 mg di calcio

5 mg di ferro

Le fave inoltre rappresentano una fonte di folati, vitamina B6, vitamina K, rame, magnesio, manganese, selenio e zinco. Infine, nelle fave sono contenuti isoflavoni, steroli vegetali e L-dopa.

 

Possibili effetti collaterali delle fave

È possibile che le fave interagiscano con gli ossazolidinoni, come il linezolid. È consigliabile consultare il proprio medico in caso di dubbi.

 

Stagionalità delle fave

In Italia le fave sono disponibili da maggio a luglio.

 

Possibili benefici e controindicazioni delle fave

Le fave contribuiscono a facilitare il buon funzionamento dell’intestino con il loro apporto di una buona quantità di fibre, che possono inoltre contribuire a contrastare malattie cardiovascolari e diabete controllando l’assorbimento intestinale di colesterolo e zuccheri, aiutando così a ridurre colesterolemia e glicemia. Le vitamine del gruppo B favoriscono il buon funzionamento del metabolismo, mentre la vitamina A e la vitamina C forniscono una protezione antiossidante. La vitamina C aiuta inoltre ad avere delle reazioni efficaci alle infezioni. Fra i minerali contenuti nelle fave, fosforo e calcio contribuiscono alla salute di ossa e denti, mentre il ferro è fondamentale per la produzione dei globuli rossi. Gli isoflavoni potrebbero aiutare a ridurre il rischio di cancro al seno, mentre i fitosteroli contribuiscono a ridurre i livelli di colesterolo. Infine, la L-dopa può favorire la buona salute del cervello e contribuire a prevenire disturbi associati a sue carenze, come il Parkinson.

Le fave sono proibite in condizioni di favismo e potrebbero essere controindicate a chi è predisposto ai calcoli.

 

Disclaimer

Le informazioni riportate rappresentano indicazioni generali e non sostituiscono in alcun modo il parere medico. Per garantirsi un’alimentazione sana ed equilibrata è sempre bene affidarsi ai consigli del proprio medico curante o di un esperto di nutrizione.

Feijoa

Feijoa

 

Che cos’è la feijoa?

La feijoa è il frutto della Feijoa sellowiana, una specie che appartiene alla famiglia delle Myrtaceae nota anche come “guava ananas” e strettamente imparentata sia con la guava che con il pepe della Giamaica. Originaria dell’America del Sud, oggi la feijoa è molto diffusa in Brasile, Argentina, Bolivia e Nuova Zelanda.

 

Che proprietà nutrizionali ha la feijoa?

100 g di feijoa apportano circa 46 Calorie suddivise in 78% di carboidrati, 16% di lipidi, 6% di proteine

In particolare, 100 g di feijoa apportano:

0,98 g di proteine

0,6 g di lipidi

13 g di carboidrati

6,4 g di fibra

32,9 mg di vitamina C

0,295 mg di niacina

0,223 mg di acido pantotenico

0,16 mg di vitamina E

0,067 mg di piridossina

0,018 mg di riboflavina

0,006 mg di tiamina

23 µg di folati

3,5 µg di vitamina K

6 UI di vitamina A

172 mg di potassio

19 mg di fosforo

17 mg di calcio

9 mg di magnesio

3 mg di sodio

0,14 mg di ferro

0,084 mg di manganese

0,06 mg di zinco

0,036 mg di rame

La feijoa è fonte di beta-carotene (2 µg in 100 g), beta-criptoxantina (3 µg in 100 g), luteina e zeaxantina (27 µg in 100 g) e licopene (5 µg in 100 g).

 

Possibili effetti collaterali della feijoa

Non si ha nota di eventuali interazioni pericolose tra la feijoa e farmaci o altre sostanze. È consigliabile consultare il proprio medico in caso di dubbi.

 

Stagionalità della feijoa

A seconda del luogo d’origine, la feijoa è reperibile in periodi diversi. In Brasile è disponibile sul mercato nella stagione che va da marzo fino a luglio. In Nuova Zelanda è presente in commercio principalmente tra marzo e giugno.

 

Possibili benefici e controindicazioni della feijoa

La feijoa è una buona fonte di fibre che svolgono un’azione lassativa e che contribuiscono a proteggere il colon dalla comparsa di tumori. La sua vitamina C contribuisce a rafforzare le difese immunitarie e a contrastare i radicali liberi, mentre le vitamine del gruppo B facilitano il buon funzionamento del metabolismo. In generale, di questo frutto si apprezza il suo limitato apporto di calorie, l’assenza di colesterolo e la ricchezza di antiossidanti alleati della salute, come il licopene (la stessa molecola che conferisce al pomodoro il suo tipico colore rosso).

Non sembra che il consumo di feijoa comporti alcun pericolo per la salute umana.

 

Disclaimer

Le seguenti informazioni rappresentano indicazioni generali e non sostituiscono in alcun modo il parere medico. Per garantirsi un’alimentazione sana ed equilibrata è sempre bene affidarsi ai consigli del proprio medico curante o di un esperto di nutrizione.

Fenofibrato

Fenofibrato

 

S’impiega per ridurre i livelli di colesterolo e trigliceridi nel sangue ed al fine di aumentare quelli di HDL (high-density lipoprotein, il cosiddetto “colesterolo buono”).

 

Che cos’è il fenofibrato?

Esso velocizza il naturale processo di rimozione dall’organismo del colesterolo.

 

Come si assume il fenofibrato?

Si somministra per via orale (sotto forma di capsule o compresse). Di solito deve essere assunto una volta al dì.

Può essere assunto da solo o in combinazione con altri farmaci.

Di solito il medico prescrive un dosaggio iniziale che può in seguito essere modificato in base alla risposta al trattamento.

 

Effetti collaterali del fenofibrato

Fra i suoi possibili effetti indesiderati si possono includere:

stato di costipazione

scariche di diarrea

bruciore allo stomaco

dolori alla schiena, a un braccio o alle gambe

mal di testa

 

È importante ricorrere subito alle cure di un medico in caso di:

rash

orticaria

prurito

difficoltà a respirare

senso di pesantezza o oppressione al petto

gonfiore a bocca, volto, labbra o lingua

debolezza

dolore o sensibilità a livello muscolare

dolore articolare

stato febbrile

cute che si desquama o con vesciche

dolore alla parte alta della schiena (fra le scapole o sotto alla spalla destra)

dolore allo stomaco, soprattutto se alla parte alta a destra

senso di nausea

conati di vomito

arrossamento, gonfiore, dolore, sensibilità o calore a livello di una gamba

fiato corto

dolorosa respirazione

sangue nell’espettorato

 

Controindicazioni e avvertenze

Prima di assumerlo è importante rendere edotto il medico:

circa la presenza di eventuali allergie al principio attivo, ai suoi eccipienti, a qualsiasi altro farmaco, ad alimenti o ad altre sostanze

dei medicinali, dei fitoterapici e degli integratori già assunti in passato (in particolare colchicina, diuretici, betabloccanti, anticoagulanti, inibitori della HMG-CoA reduttasi, terapia ormonale sostitutiva o contraccettivi ormonali e farmaci immunosoppressori)

se si soffre (o si è sofferto in pregresso) di malattie ai reni, al fegato o alla cistifellea, diabete o ipotiroidismo

se si bevono grandi quantità di alcolici (o se ne siano bevute nel passato)

in caso di donne gravide o in fase di allattamento

 

In caso di trattamento con resine sequestranti gli acidi biliari è opportuno assumerle un’ora dopo o 4-6 ore prima del fenofibrato.

Fenomeno di Raynaud

Fenomeno di Raynaud

 

Il Fenomeno di Raynaud è caratterizzato da un eccessivo raffreddamento e cambiamento di colore di alcune aree del corpo – solitamente le dita, la punta del naso e le orecchie – in presenza di basse temperature o in condizioni di stress emotivo.

Che cos’è il Fenomeno di Raynaud?

Il Fenomeno di Raynaud è rappresentato dall’eccessivo e anomalo restringimento dei vasi sanguigni (vasospasmo) in presenza di stimoli scatenanti (sbalzi di temperatura, emozioni intense), che alterano il flusso sanguigno nelle zone periferiche del nostro organismo, quali le dita. Nei casi più gravi, la riduzione della circolazione a livello delle dita può diventare cronica e comportare la formazione di ulcere.

Da cosa può essere causato il Fenomeno di Raynaud?

Alla base del Fenomeno di Raynaud sembra ci sia l’eccessiva reattività dei vasi sanguigni alle temperature e allo stress, che comporta una riduzione del flusso di sangue alle estremità del corpo per limitare la dispersione di calore. In realtà sono due le forme di questa condizione. La più diffusa è la forma primaria, la cui causa è ignota e non è correlata a nessuna malattia sistemica che possa provocare il restringimento dei vasi sanguigni; la forma secondaria è invece correlata a una condizione medica sottostante (per es. la sclerodermia, la connettivite mista, la poli/dermatomiosite) e fattori predisponenti noti tra cui per es. l’utilizzo di strumenti lavorativi freddi o vibranti, il fumo, traumi alle mani o ai polsi, l’assunzione di alcuni farmaci (ad esempio i beta bloccanti), l’esposizione a cloruro di vinile e disturbi della tiroide.

Con quali sintomi si manifesta il Fenomeno di Raynaud?

Il Fenomeno di Raynaud si può facilmente riconoscere in base a un tipico cambiamento di colore che avviene in tre fasi: le dita diventano prima bianche per lo spasmo dei vasi sanguigni, poi blu nel momento in cui si ripristina la circolazione venosa, e infine rosse quando anche il sangue arterioso torna a circolare. La frequenza, durata e gravità dello spasmo dei vasi sanguigni sono variabili, e si verificano in genere anche intorpidimento e alterazione della sensibilità tattile.

Come si può prevenire il Fenomeno di Raynaud?

Il rischio di comparsa di episodi di Fenomeno di Raynaud può essere ridotto con un’adeguata protezione dal freddo, per esempio optando per un abbigliamento adatto durante l’inverno, coprendosi bene anche quando si sta negli ambienti domestici con aria condizionata, utilizzando dei guanti per armeggiare nel frigorifero o nel congelatore. Si consiglia inoltre di sospendere i fattori scatenanti quali il fumo, i farmaci (in particolare beta bloccanti e pillola anti-concezionale), l’utilizzo di strumenti vibranti quali il trapano, mantenere un’attività fisica adeguata.

Diagnosi

Per distinguere la forma primaria da quella secondaria di Fenomeno di Raynaud il medico ha la necessità di raccogliere informazioni cliniche complete al momento della visita, e può sottoporre il paziente a un esame detto capillaroscopia periungueale: eseguito appunto a livello della base delle unghie delle mani, questo esame consente l’analisi dei vasi sanguigni per valutarne lo stato di salute.

Nelle situazioni in cui c’è il sospetto di una forma secondaria, possono essere prescritti altri esami, variabili in base alla patologia di cui si vuole verificare la presenza, e nel sospetto di una malattia autoimmune correlata al Fenomeno di Raynaud si possono per esempio richiedere ANA ed anti-ENA.

Trattamenti

Il trattamento del Fenomeno di Raynaud viene stabilito in base alla sua gravità e all’eventuale presenza di patologie sottostanti. In molti casi, più che di una disabilità si tratta di un semplice disturbo fastidioso, per cui se i sintomi sono lievi può essere sufficiente coprire le estremità in modo adeguato ed evitare gli sbalzi di temperatura. Bisogna inoltre eliminare i fattori predisponenti, se possibile, per esempio cambiando mansioni lavorative se il paziente è esposto a basse temperature o all’utilizzo di strumenti vibranti, sospendendo l’abitudine del fumo ed eliminando eventuali farmaci che possono causare il Fenomeno di Raynaud.

In casi più complicati è possibile assumere farmaci per ridurre il numero di attacchi, prevenire il danno ai tessuti e trattare eventuali patologie sottostanti.

Tra i farmaci che possono essere utilizzati per promuovere la buona circolazione possono essere prescritti:

calcio-antagonisti

alfa-bloccanti

vasodilatatori

A volte è possibile che sia necessario effettuare altri trattamenti più invasivi come interventi chirurgici ai nervi (es. sindrome del tunnel carpale) se considerati fattore scatenante, e in caso di comparsa di ulcere sarà necessario iniziare infusioni di vasodilatatori e medicazioni accurate.

Ferroso gluconato

Ferroso gluconato

 

S’impiega per aumentare l’apporto di ferro e per prevenire o trattare carenze di ferro nel sangue.

 

Che cos’è il ferroso gluconato?

Esplica la sua azione aiutando a soddisfare il fabbisogno di ferro dell’organismo.

 

Come si assume il ferroso gluconato?

Deve essere assunto via bocca con un bicchiere d’acqua – preferibilmente a stomaco vuoto – ed evitando di sdraiarsi nei 30 minuti successivi. Nel caso in cui cagioni però fastidi gastrici, può messere assunto a stomaco pieno.

 

Effetti collaterali del ferroso gluconato

La sua assunzione può interferire con alcune analisi di laboratorio (ad esempio quelle per verificare la presenza di sangue nelle feci).

 

Fra gli altri suoi possibili effetti collaterali sono inclusi:

feci scure o verdi

stato di costipazione

scariche di diarrea

calo dell’appetito

senso di nausea

crampi, dolori o fastidi allo stomaco

conati di vomito

 

È importante contattare immediatamente un medico nel caso di:

rash

orticaria

prurito

difficoltà a respirare

senso di pesantezza o oppressione al petto

sangue nelle feci

stato febbrile

nausea, mal di stomaco o vomito gravi o persistenti

vomito che assomiglia a sangue o a caffè

gonfiore a bocca, volto, labbra o lingua

feci scure

 

Controindicazioni e avvertenze

Il farmaco non deve essere impiegato in caso di livelli ematici di ferro elevati. Può altresì essere controindicato in presenza di alcuni problemi nel metabolismo del ferro (ad esempio emocromatosi o emosiderosi).

Alcuni alimenti possono ridurne l’assorbimento; per questo motivo è importante seguire le indicazioni alimentari fornite dal curante.

E’ inoltre opportuno chiedere al medico come comportarsi in caso di trattamento con cefdinir, eltrombopag, metildopa, penicillamina, antiacidi, bifosfonati, chinoloni o tetracicline e di assunzione di vitamine.

Prima dell’assunzione è importante rendere edotto il medico:

circa la presenza di eventuali allergie al principio attivo, ai suoi eccipienti, a qualsiasi altro farmaco, ad alimenti o ad altre sostanze (in particolare al colorante tartrazina)

dei medicinali, dei fitoterapici e degli integratori già assunti in passato, in particolare micofenolato, penicillamina, doxiciclina, ormoni tiroidei e vitamine

se si soffre (o si è sofferto nel pregresso) di anemia perniciosa o altre forme di anemia, condizioni che posso causare anemia, problemi gastrointestinali, anemia emolitica, malattie del sangue o problemi nel metabolismo del ferro

in caso di trasfusioni di sangue multiple

in caso di donne gravide o in fase di allattamento

Fibrillazione atriale (FA)

Fibrillazione atriale (FA)

 

La fibrillazione atriale è l’aritmia che più frequentemente colpisce la popolazione generale e la sua prevalenza tende a crescere con l’avanzare dell’età. Pur non trattandosi di un’aritmia di per sé pericolosa per la vita, può esporre a delle complicanze che, in alcuni casi, possono risultare molto invalidanti.

Le tre tipologie di fibrillazione (le tre P-> Parossistica, Persistente, Permanente)

La fibrillazione atriale è un’aritmia sopraventricolare scatenata da impulsi elettrici provenienti da cellule muscolari miocardiche presenti a livello della giunzione tra le quattro vene polmonari e l’atrio sinistro.

Nella fibrillazione atriale l’attività elettrica degli atri risulta completamente disorganizzata e non è collegata ad un’attività meccanica efficace. Le onde di depolarizzazione atriale, o onde f, hanno una piccola ampiezza e una frequenza molto elevata (400-600 impulsi al minuto). In queste condizioni il nodo atrioventricolare (NAV) riceve dall’atrio molti più impulsi di quanti sia in grado di condurne, esercitando quindi una funzione di filtro che invia ai ventricoli un numero di battiti non eccessivamente elevati: numerosi impulsi penetrano, infatti, solo parzialmente nel NAV e restano bloccati al suo interno. Questa variabilità della conduzione atrioventricolare rende la contrazione dei ventricoli irregolare. Gli aspetti elettrocardiograficamente rilevanti della fibrillazione atriale saranno quindi la presenza di onde f e l’irregolarità dei battiti.

Dal punto di vista clinico la fibrillazione atriale viene suddivisa in base al modo di presentazione in:

Parossistica: quando gli episodi si presentano e si risolvono spontaneamente in un periodo di tempo inferiore a una settimana.

Persistente: quando l’episodio aritmico non si interrompe spontaneamente ma solo in conseguenza di interventi terapeutici esterni.

Permanente: quando non siano ritenuti opportuni tentativi di cardioversione, o gli interventi terapeutici si siano dimostrati inefficaci.

Chi colpisce e come si manifesta?

La fibrillazione atriale colpisce lo 0,5 -1% della popolazione generale con una prevalenza che aumenta con l’età (0,1% sotto i 55 anni, 8-10% oltre gli 80). La maggior parte dei pazienti colpiti ha dunque più di 65 anni; generalmente gli uomini sono più colpiti rispetto alle donne.

In alcune situazioni fa la sua comparsa in assenza di apparenti condizioni favorenti, ossia in assenza di una cardiopatia strutturale o di condizioni sistemiche (come l’ipertiroidismo) che la possano provocare. In questi casi, che risultano in genere meno del 30%, si parla di fibrillazione isolata. Esistono anche delle condizioni che possono facilitare la fibrillazione atriale: ipertensione arteriosa (presente in circa il 50% dei casi), insufficienza cardiaca, diabete mellito, patologie delle valvole cardiache, esiti di chirurgia cardiaca.

La fibrillazione atriale viene spesso collegata a sintomi, tra cui i più frequenti sono: palpitazioni, dispnea, debolezza o affaticabilità, raramente sincope, dolore toracico. In alcuni casi è asintomatica o, anche se sono presenti dei sintomi, questi non vengono riconosciuti dal paziente, che si limita ad adeguare il proprio stile di vita. Un esempio è la riduzione della resistenza allo sforzo.

Oltre ai sintomi, a volte invalidanti, la fibrillazione atriale può determinare il rischio di eventi trombotici, poiché l’immobilità meccanica degli atrii facilita la formazione di coaguli che successivamente possono migrare nel circolo cerebrale e provocare ischemie e ictus cerebrale.

La mortalità cardiovascolare è aumentata nei soggetti colpiti da fibrillazione atriale e la qualità della vita è ridotta. Inoltre la persistenza della fibrillazione atriale comporta un rimodernamento degli atrii, che assumono caratteristiche elettriche, anatomiche e strutturali (dilatazione, fibrosi) tali da favorire il perpetuarsi dell’aritmia.

Come effettuare la diagnosi

Gli strumenti diagnostici sono:

elettrocardiogramma,

Holter ECG 24 ore,

che integrano una visita aritmologica.

In alcuni casi, se esami semplici come quelli suddetti non risultano sufficienti, è possibile eseguire indagini più approfondite come ad esempio lo studio elettrofisiologico endocavitario.

Trattamenti

Nel percorso terapeutico della fibrillazione atriale bisogna valutare la modalità di presentazione (parossistica, persistente, permanente), la presenza di una cardiopatia strutturale o di altre condizioni favorenti.

È necessario inoltre riconoscere il momento di insorgenza e la presenza di una grave condizione di instabilità secondaria alla fibrillazione atriale.

In base a queste valutazioni sarà possibile decidere riguardo ad un tentativo di ripristino del ritmo sinusale.

In genere al primo episodio si procede a cardioversione, a prescindere dai sintomi. Se l’episodio ha un’insorgenza databile a meno di 24-48 ore è possibile la cardioversione (farmacologica o elettrica).

In presenza di instabilità emodinamica determinata dalla fibrillazione si deve optare in genere per una cardioversione elettrica immediata. La cardioversione elettrica è una procedura con cui si può interrompere l’aritmia con una sorta di “reset” del battito.

Se l’insorgenza non è recente o non è databile e l’aritmia è ben tollerata, in genere si rimanda la cardioversione (generalmente elettrica) dopo un periodo di terapia anticoagulante di almeno 3-4 settimane. In base a eventuali recidive o alla presenza di cardiopatia si può intraprendere una profilassi farmacologica antiaritmica.

In caso in cui la cardioversione sia inefficace, in base ai sintomi, all’età e al contesto clinico generale, è possibile valutare l’eventuale passaggio a metodiche terapeutiche invasive (ablazione transcatetere/chirurgica).

La procedura di ablazione transcatetere della fibrillazione atriale è complessa poiché richiede il passaggio del catetere ablatore dalle sezioni destre del cuore (cui si arriva per via venosa) a quelle di sinistra. Tale accesso si ottiene attraverso una puntura della membrana del setto interatriale con un ago dedicato. Una volta raggiunto poi l’atrio sinistro si procede all’isolamento elettrico delle quattro vene polmonari con abolizione dei punti responsabili dell’innesco della fibrillazione atriale.

Come prevenire

La fibrillazione atriale a volte risulta secondaria all’ipertensione arteriosa o ad altre cardiopatie, come ad esempio scompenso cardiaco, cardiopatia ischemica. Risulta dunque necessario, per quanto possibile, svolgere dei controlli regolari del profilo pressorio e, quando presenti, impostare un corretto iter terapeutico delle cardiopatie, affidandosi al Medico Cardiologo competente, al fine di prevenire le ricorrenze dell’aritmia.

Fibrillazione ventricolare (FV)

Fibrillazione ventricolare (FV)

 

La fibrillazione ventricolare è un’aritmia caratterizzata da un ritmo cardiaco caotico e disorganizzato che trae origine dai ventricoli. La rapidità e la disorganizzazione dell’impulso elettrico rendono il cuore incapace di espellere il sangue all’interno del circolo arterioso, comportando un arresto cardiocircolatorio.

Di cosa si tratta e da cosa può essere causata?

La fibrillazione ventricolare è rappresentata da un ritmo cardiaco caotico e disorganizzato originato dai ventricoli. La rapidità e la disorganizzazione dell’impulso elettrico rendono le contrazioni miocardiche inefficaci dal punto di vista emodinamico (il cuore non capace di espellere il sangue all’interno del circolo arterioso), comportando pertanto la configurazione del quadro di arresto cardiocircolatorio: la pressione arteriosa crolla a zero e il paziente perde coscienza. Se non viene prontamente trattata con manovre rianimatorie e defibrillazione esterna, questa aritmia può portare rapidamente al decesso.

Ci possono essere diverse cause della fibrillazione ventricolare. La causa più frequente è l’ischemia miocardica acuta (infarto del miocardio): in una piccola percentuale di casi può rappresentare un inizio di infarto miocardico. In secondo luogo, si può verificare la fibrillazione ventricolare in pazienti colpiti da cardiopatie strutturali predisposte alle aritmie ventricolari (come la cardiomiopatia dilatativa, la cardiomiopatia ipertrofica, displasia aritmogena del ventricolo destro, non compattazione ventricolare).

In alcuni casi può colpire anche pazienti con cuore strutturalmente normale ma affetti da malattie aritmogene ereditarie (come sindrome del QT lungo, sindrome di Brugada, tachicardia ventricolare polimorfa catecolaminergica); parliamo di fibrillazione ventricolare idiopatica quando la fibrillazione ventricolare non riconosce una causa scatenante specifica.

Diagnosi

Se non viene trattata, la fibrillazione ventricolare può portare al decesso anche entro pochissimi minuti. Quindi è possibile effettuare la diagnosi solo nei pochi pazienti che presentano l’aritmia in ospedale e sono monitorizzati, oppure nei rari casi in cui il paziente è rianimato in ambiente extraospedaliero e viene eseguito ecg o monitor del defibrillatore.

Trattamenti

A meno che non si possa ben riconoscere ed eliminare con certezza la causa della fibrillazione ventricolare (per esempio con la riperfusione miocardica in caso di infarto, o l’ablazione transcatetere in caso di degenerazione di tachicardie ventricolari monomorfe recidivanti), i pazienti sopravvissuti devono essere sottoposti a impianto di defibrillatore cardiaco in prevenzione secondaria

Fibrinogeno umano concentrato

Fibrinogeno umano concentrato

 

Si utilizza principalmente per curare i pazienti con deficit congenito di fibrinogeno.

 

Che cos’è il fibrinogeno umano concentrato?

Esso esplica la sua azione favorendo la coagulazione del sangue.

 

Come si assume il fibrinogeno umano concentrato?

Viene somministrato mediante iniezioni.

 

Effetti collaterali del fibrinogeno umano concentrato

Questo medicinale contiene albumina; ciò aumenta il rischio di contrarre infezioni virali o la malattia di Creutzfeldt-Jakob. Entrambe le eventualità sono tuttavia molto rare, tanto che ad oggi non ne sono stati riportati casi.

Fra gli altri suoi possibili effetti indesiderati sono inclusi:

mal di testa

senso di nausea

conati di vomito

 

È importante rivolgersi subito ad un medico in caso di:

rash

orticaria

prurito

difficoltà a respirare

senso di pesantezza o oppressione al petto

gonfiore a bocca, volto, labbra o lingua

brividi

stato febbrile

trombi

 

Controindicazioni e avvertenze

Prima della somministrazione è importante rendere edotto il medico:

circa la presenza di eventuali allergie al principio attivo, ai suoi eccipienti, a qualsiasi altro farmaco, ad alimenti o ad altre sostanze

dei medicinali, dei fitoterapici e degli integratori già assunti in passato

delle patologie e dei problemi di salute di cui si soffre (o si è nel pregresso sofferto)

in caso di donne gravide o in fase di allattamento

Fibroadenoma

Fibroadenoma

 

Il fibroadenoma è la forma di tumore benigno al seno più diffusa ed è più frequente nelle donne al di sotto dei trent’anni. La presenza del fibroadenoma non aumenta il rischio di sviluppare un carcinoma mammario. Raramente, carcinomi intraduttali o invasivi possono svilupparsi all’interno di un fibroadenoma, ma questo può avvenire, non per particolari condizioni predisponenti date dalla presenza del fibroadenoma, ma per gli stessi motivi per cui si può sviluppare in altre aree della mammella. Studi scientifici hanno anche individuato un’associazione tra fibroadenomi multipli e sindromi tumorali rare come la sindrome di Maffucci, la sindrome di Cowden e la sindrome di Carney.

 

Che cos’è il fibroadenoma?

Il fibroadenoma è un tumore benigno che si forma più frequentemente negli anni in cui la donna è fertile. La sua massa è formata da ghiandola mammaria e dal tessuto che la circonda.

Le sue dimensioni possono aumentare nel corso del tempo, soprattutto durante la gravidanza, mentre capita spesso che i fibroadenomi rimangano stabili dimensionalmente dopo la menopausa.

Generalmente i fibroadenomi sono costituiti singoli, solo circa il 10-20% è bilaterale. Fibroadenomi con un volume superiore ai 5 centimetri sono chiamati fibroadenomi giganti.

 

Quali sono le cause del fibroadenoma?

Le cause alla base della formazione di questo particolare tumore benigno sono attualmente ignote. Per lo più la comunità scientifica ritiene che siano gli ormoni sessuali a rivestire un ruolo predominante nel suo sviluppo.

 

Quali sono i sintomi del fibroadenoma?

I fibroadenomi si presentano come noduli isolati, duri al tatto che si muovono facilmente sotto alla pelle, solitamente indolori e dai margini ben definiti.

 

Come prevenire il fibroadenoma?

Non esistono comportamenti particolari per prevenire la formazione di un fibroadenoma. La diagnosi precoce può però essere favorita da controlli regolari e dall’autopalpazione del seno.

 

L’utilizzo della terapia anticoncezionale in presenza di fibroadenomi è ancora controbattuto. Non ci sono chiare evidenze scientifiche che controindichino l’utilizzo della pillola anticoncezionale se presenti fibroadenomi mammari. Alcuni studi evidenziano una riduzione dimensionale dei fibradenomi in pazienti che assumono contraccettivi orali.

 

Le donne che si avvicinano alla menopausa devono essere informate circa la possibilità che i cambiamenti ormonali favoriscano una parziale regressione spontanea, ma è altrettanto importante che le donne in menopausa tengano sotto controllo la comparsa di nuovi noduli attraverso l’autopalpazione e con lo screening mammografico, informandone tempestivamente il medico per il rischio che possa essere un nodulo tumorale.

 

Diagnosi

La diagnosi di fibroadenoma prevede:

una vista senologica e solitamente anche una ecografia al seno che consente di distinguere il fibroadenoma da una cisti a contenuto liquido denso, cosa non sempre facile se il nodulo è di piccole dimensioni.

mammografia e agobiopsia mammaria nei casi in cui le caratteristiche ecografiche siano sospette per carcinoma mammario.

 

Trattamenti

In caso di fibroadenoma, se l’ecografia o la eventuale biopsia hanno accertato la natura non maligna del nodulo e se lo stesso non aumenta velocemente di dimensioni, il trattamento può essere di tipo conservativo, verificando l’evoluzione del nodulo nel tempo mediante controlli clinici ed ecografici senza nessun particolare pericolo.

 

Tuttavia, nel caso in cui la presenza del fibroadenoma fosse associata a dolori o altri sintomi, se le sue dimensioni dovessero aumentare sopra i 3 centimetri o qualora fossero presenti un’anomala vascolarizzazione o bordi irregolari, il medico potrebbe consigliarne l’asportazione chirurgica.

La rimozione del fibroadenoma non comporta l’asportazione del tessuto mammario circostante perché solitamente è ben capsulato, non infiltra il tessuto circostante, ma tende a comprimerlo, per cui l’intervento non lascia tracce rilevanti nella forma del seno, anche in caso di noduli di grosse dimensioni, in quanto la ghiandola si riespande spontaneamente, una volta asportato il nodulo.

Fibromi uterini

Fibromi uterini

 

I fibromi uterini sono neoformazioni solide benigne che originano dal tessuto muscolare dell’utero e sono una vera e propria rappresentazione di tale neoplasia benigna, molto più frequente nel genere femminile che negli uomini. Basta pensare alle statistiche che evidenziano dati sorprendenti secondo cui una donna su tre, dopo i 35 anni, sia portatrice di almeno un mioma.

 

I fibromi uterini possono essere singoli o multipli e svilupparsi verso la cavità uterina, nello spessore della parete uterina o per l’esterno dell’utero. Queste formazioni tumorali benigne gofono di un’ampia gamma di variabili che vanno da pochi millimetri a diverse decine di centimetri, a volte paragonabili alla grandezza di un’anguria.

 

Che cosa sono i fibromi uterini?

I vari tipi di fibroma non godono di univocità di presenza e possono infatti esistere nell’utero allo stesso tempo. I fibromi sottosierosi e intracavitari possono anche essere peduncolati (ovvero attaccati all’utero solo attraverso un peduncolo, che permette una certa mobilità alla neoformazione).

 

Quali sono le cause dei fibromi uterini?

Lo sviluppo dei fibromi non è stato ancora indagatoo appropriatamente e i ricercatori non hanno ancora identificato le chiare origini alla base di questi. In molti pensano comunque che la predisposizione genetica e la conseguente suscettibilità alla stimolazione ormonale possano essere una valida causa.

 

Quali sono i sintomi dei fibromi uterini?

La sintomatologia che accompagna i fibromi uterini dipende dalle dimensioni ma, soprattutto, dalla sede dei miomi. Accade frequentemente che i fibromi di grosse dimensioni non presentino sintomi. Altre volte, invece, un fibroma di piccole dimensioni, ma collocato, per esempio, all’interno della cavità endometriale, può portare a sintomi importanti. I sintomi riportati dalle pazienti con maggior frequenza sono:

Mestruazioni abbondanti e/o ravvicinate (con conseguente anemizzazione).

Dismenorrea (ossia mestruazioni dolorose).

Dolore pelvico.

 

Difficoltà a iniziare o a portare a termine una gravidanza. A questo proposito bisogna ricordare però che i fibromi sono raramente causa di infertilità e che, quasi sempre, non ostacolano il normale svolgimento della gravidanza stessa, anche se il loro volume subisce regolari incrementi proprio nelle prime fasi di gestazione. Nella maggioranza dei casi, il mioma convive tranquillamente con la gravidanza. Esistono comunque casistiche registrate in cui il mioma è veramente responsabile di contrazioni uterine e riduzione della crescita fetale.

Senso di pesantezza, gonfiore addominale, bisogno frequente di urinare, disturbi intestinali (questi ultimi sintomi sono meno frequenti).

 

Come prevenire i fibromi uterini?

Dal momento che le cause all’origine dello sviluppo dei fibromi uterini non sono ancora conosciute e che un ruolo importante si ritiene venga giocato dalla predisposizione genetica, non sono ancora noti comportamenti virtuosi i quali vengono coinvolti nelle azioni di prevenione contro la formazione e lo sterile presentarsi delle formazioni tumorali benigne.

 

Diagnosi

La diagnosi di fibroma uterino viene effettuata attraverso la visita specialistica ginecologica abbinata all’ecografia trans vaginale e (se necessario) trans addominale.

 

Trattamenti

Spesso i fibromi sono asintomatici: in questi casi il trattamento si basa sul monitoraggio periodico – mediante visita ginecologica ed ecografia – per controllarne le eventuali modificazioni di volume e di posizione. Quando, invece, i fibromi sono sintomatici, le possibilità di trattamento sono:

 

La terapia farmacologica:

pillola contraccettiva estro/progestinica, progesterone naturale o farmaci progestinici. Questi farmaci non sono in grado di eliminare i fibromi, ma possono contrastare il loro accrescimento e, soprattutto, ridurre la quantità del flusso mestruale ed il dolore mestruale.

Farmaci “analoghi del gn-rh”: ossia un’iniezione da fare una volta al mese che blocca la secrezione di ormoni femminili e arrivare a dare vita ad una vera e propria situazione di menopausa non definitiva e temporanea che annulla dunque i sintomi metrorragici e può portare a una certa diminuzione delle dimensioni del fibroma.

Dal momento che i farmaci utilizzati risultano efficaci sui disturbi mestruali, ma spesso non sono in grado di bloccare la crescita dei fibromi e la maggior parte delle volte hanno un’efficacia temporanea (ovvero i sintomi ricompaiono una volta terminata la cura), il trattamento farmacologico viene utilizzato solo in casi specifici (ad esempio, per curare l’anemia provocata dai fibromi o come terapia preparatoria all’’intervento chirurgico).

 

La terapia chirurgica: è volta all’asportazione dei fibromi. In base alla tipologia, alla grandezza e al numero dei fibromi da asportare possono essere impiegate diverse tecniche chirurgiche:

 

Laparoscopia: gli strumenti chirurgici e ottici per eseguire l’intervento vengono inseriti nella cavità addominale attraverso piccole incisioni, una sotto l’ombelico, le altre nella parte bassa dell’addome.

 

Laparotomia: l’intervento viene praticato attraverso un’ampia incisione della parete addominale (ossia “ a cielo aperto”).

 

Isteroscopia: l’intervento viene eseguito introducendo gli strumenti chirurgici in cavità uterina, attraverso la vagina. Questa tecnica permette l’asportazione dei fibromi a sviluppo endocavitario.

 

La chirurgia laparoscopica o laparotomica può essere utilizzata, oltre che in modo conservativo (miomectomia), anche in modo demolitivo, asportando cioè consensualmente alla patologia, tutto il viscere uterino (isterectomia). La scelta della via a cielo chiuso (laparoscopia) o aperto (laparotomia) dipende essenzialmente dalle dimensioni dei miomi.

 

Embolizzazione: è una tecnica radiologica, attraverso la quale si identifica l’arteria che “nutre” il fibroma e la si va a occludere, privando così il fibroma dell’apporto di sangue da cui trae nutrimento per crescere. La manovra comporta quindi una progressiva riduzione del volume dei fibromi stessi senza dover far ricorso all’intervento chirurgico. È una procedura che però non è percorribile per tutti i miomi e, spesso, durante la fase di riassorbimento del fibroma, crea dolore e perdite ematiche.

Fibrosi cistica

Fibrosi cistica

 

La fibrosi cistica è una patologia di origine genetica che colpisce le ghiandole esocrine, come quelle che producono muco e sudore, e agisce in modo problematico sullle zone di polmoni, il pancreas, il fegato, l’intestino, i seni paranasali e l’apparato riproduttivo.

 

Che cos’è la fibrosi cistica?

I pazienti affetti da fibrosi cistica soffrono di problematiche che portano alla formazione di muco denso e appiccicoso il quale non umidifica le aree superficiali con cui viene in contatto, ma si adagia su esse bloccando di fatto le vie respiratorie e poi tutte le altre conduttore di collegamento e zone del corpo umano. Qualsiasi dotto, inclusi quelli che permettono ai succhi pancreatici di arrivare nell’intestino tenue per partecipare alla digestione, viene ostruito. Ovviu dunque i caratteristici problemi di assorbimento e aumento del rischio di infezioni batteriche che portano a malnutrizione, gravi danni ai polmoni, problemi intestinali e dolori addominali.

 

Inoltre la fibrosi cistica porta a perdere molti sali attraverso il sudore, causando scompensi elettrolitici, disidratazione, aumento della frequenza cardiaca, affaticamento e debolezza, riduzione della pressione sanguigna e colpi di calore. La malattia, infine, può aumentare il rischio di osteoporosi e di osteopenia ed essere associata a problemi di fertilità sia maschili che femminili.

 

Quali sono le cause della fibrosi cistica?

Le cause della fibrosi cistica sono mutazioni nel gene CFTR, che codifica una proteina che controlla il passaggio di acqua e di alcuni sali all’interno e all’esterno delle cellule. La proteina mutata non funziona in modo appropriato e porta alla produzione di muco denso e sudore molto ricco di sali. Le possibili mutazioni a carico di CFTR sono più di mille e possono causare forme di fibrosi cistica di gravità differente. Inoltre anche altri geni possono contribuire alla gravità della malattia.

 

Quali sono i sintomi della fibrosi cistica?

I sintomi della fibrosi cistica cambiano da paziente a paziente e con il passare del tempo.

Nei bambini un primo segnale può essere il sapore salato della pelle o la stitichezza a partire dalla nascita.

 

La maggior parte degli altri sintomi compaiono più avanti nel tempo e possono essere:

a livello dell’apparato respiratorio: l’accumulo di muco denso nelle vie respiratorie e le infezioni ricorrenti e resistenti agli antibiotici, le continue sinusiti, bronchiti e polmoniti frequenti e, in alcuni casi, polipi nasali,ronchiectasie e pneumotorace nell’apparato digerente: diarrea o feci dall’aspetto oleoso e nauseabonde, blocchi intestinali, flatulenza eccessiva e stitichezza grave associati a dolori addominali, carenze nutrizionali che ostacolano la crescita e l’aumento di peso, pancreatite, prolassi rettali, malattie epatiche, diabete e calcoli alla cistifellea nell’apparato genitale degli uomini: l’ssenza del dotto deferente, in quello femminile: blocco della cervice da parte del muco altri possibili sintomi includono l’alterazione dei livelli di minerali nell’organismo, estremità delle dita dilatate (clubbing) e riduzione della densità ossea

 

Come prevenire la fibrosi cistica?

Il rischio di dare vita ad un bambino affetto da fibrosi cistica può essere oggetto di valutazioni specifiche portate avanti grazie alle appropriate analisi del DNA di entrambi i genitori. Il fatto che la malattia offre poche possibilità di analisi in quanto si presenta esclusivamente nei casi in cui tutte e due le copie di CFTR di un soggetto hanno subito mutamenti, se entrambi i genitori sono portatori della fibrosi cistica (ossia hanno entrambi una sola copia di CFTR mutata) per ogni loro figlio la probabilità di essere affetto dalla malattia è del 25%, quella di essere portatore è del 50% e quella di avere entrambe le copie sane di CFTR del 25%.

Analisi genetiche condotte su materiale prelevato durante la gravidanza tramite amniocentesi o villocentesi permettono di stabilire se il bambino sarà sano o affetto dalla malattia e di prendere le decisioni ritenute più opportune.

Fico d’India

Fico d’India

 

Che cos’è il fico d’India?

Il fico d’India è il frutto di piante che appartengono alla famiglia delle Cactaceae.

I climi caldi e asciutti favoriscono la crescita delle piante appartenenti a questo genere. I frutti sono ricoperti da spine o, in alternativa, da setole; il loro colore può essere diverso sia nella buccia che nella polpa, che avvolge semi dalla forma discoidale, anch’essi di vari possibili colori.

 

Che proprietà nutrizionali ha il fico d’India?

100 g di fico d’India contengono 53 Calorie, il cui 92% si presenta sotto forma di carboidrati, che rappresentano il 50% circa della polpa e il 30% della buccia del frutto; per il resto, il 6% corrisponde a proteine e il 2% a lipidi. Più in particolare, 100 g di frutto corrispondono a:

83,2 g di acqua

0,8 g di proteine

0,1 g di lipidi

13 g di zuccheri solubili

5 g di fibre (di cui 0,13 g di fibra solubile e 4,87 g di fibra insolubile)

Per quanto riguarda, invece, i micronutrienti, il fico d’India è ricco di:

18 mg di vitamina C

10 µg di vitamina A (retinoli equivalenti),

0,4 mg di vitamina B3 o PP (niacina (vitamina B3)

0,04 mg di vitamina B2 (riboflavina)

0,02 mg di vitamina B1 (tiamina)

190 mg di potassio

30 mg di calcio

25 mg di fosforo

0,4 mg di ferro

Il fico d’India presenta, inoltre, tracce di vitamina C e 1 mg di sodio per ogni 100 g di frutto.

Il colore della polpa è determinato dalla presenza di composti betalainici; in particolare, la betanina conferisce una tonalità rosso-porpora mentre l’indicazantina determina una colorazione gialla. Al suo interno sono presenti biotioli, taurina, flavonoli, tocoferoli e carotenoidi. Nella buccia invece sono presenti calcio, ferro, potassio, magnese, magnesio, sodio e selenio; i semi contengono grandi quantità di fosforo e zinco e gli oli ottenuti da buccia e semi rappresentano una buona fonte di acidi grassi polinsaturi.

 

Possibili effetti collaterali del fico d’India

È possibile che il fico d’India potenzi l’effetto ipoglicemizzante esercitato da farmaci come la metformina, la gliburide, il rosiglitazone e l’acarbosio. Inoltre si ritiene possibile un aumento della diuresi nei pazienti soggetti a trattamento con diuretici come la furosemide e l’idroclorotiazide. Queste interazioni però non sono supportate da molte prove.

 

Possibili benefici del fico d’India

Il fusto viene impiegato a scopo medicinale, in particolare nel trattamento dell’ipercolesterolemia, nel controllo della pressione e contro:

acidità gastrica

ulcera

affaticamento

dispnea

glaucoma

problemi del fegato e per curare ferite

Alle pale sono state inoltre attribuite proprietà antinfiammatorie utili in caso di edema, artrosi, pertosse e per prevenire l’infezione di ferite.

 

Possibili controindicazioni del fico d’India

In commercio sono disponibili diversi prodotti a base di fico d’India, dai succhi alle capsule. Tuttavia, se ne sconsiglia l’assunzione durante la gravidanza e l’allattamento, in quanto la loro sicurezza non è convalidata da studi clinici. Più in generale, è consigliabile ricordare che il fico d’India può provocare reazioni da ipersensibilità, soprattutto sotto forma di dermatiti. È stato inoltre riportato almeno un caso di cheratocongiuntivite e alcuni di granuloma; questi ultimi sono stati provocati dal contatto con le spine.

 

Stagionalità del fico d’India

I fichi d’India sono tipicamente disponibili in settembre; i primi vengono raccolti alla fine di agosto, ma le specie più tardive arrivano anche a maturare a novembre.

Possono essere conservati a lungo in frigorifero, ma è altamente consigliabile consumarli il più presto possibile, dopo un massimo di 2 giorni al freddo.

 

Disclaimer

Le seguenti informazioni rappresentano indicazioni generali e non sostituiscono in alcun modo il parere medico. Per garantirsi un’alimentazione sana ed equilibrata è sempre bene affidarsi ai consigli del proprio medico curante o di un esperto di nutrizione.

Filgastrim

Filgastrim

 

S’impiega in particolar modo nel trattamento della neutropenia (una carenza di globuli bianchi nel sangue che può, ad esempio, essere causata da un tumore, da un trapianto di midollo osseo o dalla chemioterapia)

 

Che cos’è il filgastrim?

Esso esplica la sua azione stimolando la produzione di globuli bianchi.

 

Come si assume il filgastrim?

Si somministra tramite iniezioni sottocutanee o infusioni in vena.

 

Effetti collaterali del filgastrim

Fra i suoi possibili effetti indesiderati sono inclusi:

dolori a livello muscolare o articolare

dolori alle ossa

mal di testa

senso di nausea

conati di vomito

 

È importante contattare immediatamente un medico in caso di:

respiro accelerato

fiato corto

senso di pesantezza o oppressione al petto

gonfiore a bocca, volto, labbra o lingua

dolore forte o improvviso alla parte superiore sinistra dello stomaco che si irradia verso la spalla

problemi ai reni

sintomi di un’infezione in corso

rash

orticaria

prurito

difficoltà a respirare

 

Controindicazioni e avvertenze

Non deve essere somministrato nelle 24 ore precedenti o successive ad un trattamento chemioterapico.

Prima della cura è importante informare il medico:

circa la presenza di eventuali allergie al principio attivo, ai suoi eccipienti, a qualsiasi altro farmaco, ad alimenti o ad altre sostanze (in particolare ai prodotti ottenuti a partire da E. coli)

dei medicinali, dei fitoterapici e degli integratori già assunti in passato

se si soffre (o si è sofferto in pregresso) di leucemia mieloide cronica, mielodisplasia, disturbi ematologici o malattie renali

in caso di chemioterapia o trattamenti a base di radiazioni

in caso di donne gravide o in fase di allattamento

Fingolimod

Fingolimod

 

S’impiega per prevenire i sintomi della sclerosi multipla a decorso recidivante-remittente. Può anche aiutare a rallentare il peggioramento della patologia.

 

Che cos’è il fingolimod?

Esso esplica la sua azione riducendo l’attività delle cellule immunitarie che possono danneggiare i nervi.

 

Come si assume il fingolimod?

Vine somministrato via bocca, in genere sotto forma di capsule.

 

Effetti collaterali del fingolimod

Il suo utilizzo può rallentare il battito cardiaco.

Fra gli altri suoi possibili effetti indesiderati sono inclusi:

mal di testa

stato di debolezza

male alla schiena

intorpidimenti, bruciori o pizzicore a mani o piedi

stato di depressione

epidermide secca, che si desquama o che prude

perdita dei capelli

 

È importante rivolgersi subito ad un medico in caso di:

rash

orticaria

difficoltà a respirare

senso di pesantezza, oppressione o dolore al petto

dolore agli occhi

problemi visivi

sensibilità alla luce

fiato corto

senso di nausea

conati di vomito

scomparsa dell’appetito

male allo stomaco

ittero

gonfiorea bocca, volto, labbra o lingua

battito rallentato

sensazione di colpi al petto

eccessiva stanchezza

capogiri

svenimenti

brividi, tosse, mal di gola, febbre e altri sintomi di un’infezione in corso

urine scure

In Europa è stato riportato un caso in cui l’assunzione di questo farmaco è risultata collegata alla comparsa di una leucoencefalopatia multifocale progressiva.

 

Controindicazioni e avvertenze

Prima di assumerlo è importante informare il medico:

circa la presenza di eventuali allergie al principio attivo, ai suoi eccipienti, a qualsiasi altro farmaco, ad alimenti o ad altre sostanze

dei medicinali, dei fitoterapici e degli integratori già assunti (citando in particolare farmaci contro il battito cardiaco irregolare, farmaci per tenere sotto controllo il sistema immunitario, medicinali contro il cancro, i problemi cardiaci o la pressione alta, metadone, betabloccanti, calcio antagonisti, citalopram, clorpromazina, digossina, eritromicina, aloperidolo e ketoconazolo)

se si soffre (o si è sofferto nel pregresso) di svenimenti, pressione alta, uveite, battito cardiaco rallentato, potassio o magnesio bassi nel sangue, malattie epatiche o renali, infarti, angina, ictus o mini-ictus, scompenso cardiaco, infezioni recidivanti, diabete, apnee del sonno o altri problemi respiratori

in caso di donne gravide o in allattamento

in caso di stato febbrile o di altri sintomi di un’infezione

se non si ha mai avuto la varicella e non si è vaccinati contro la malattia

È sempre importante far sapere a medici, chirurghi e dentisti dell’assunzione di fingolimod.

Durante il trattamento e nei 2 mesi successivi la sua interruzione, non bisogna sottoporsi a vaccinazioni senza previo consulto medico. Inoltre, nello stesso periodo, le donne in cura devono utilizzare efficaci metodi anticoncezionali.