Aguglia

Aguglia

 

Che cos’è?

Dal nome scientifico Belone belone è un pesce che appartiene alla famiglia Belonidae ed è diffuso nel Mediterraneo, nel Mar Nero e nell’Oceano Atlantico orientale.

 

Quali sono le proprietà nutrizionali?

100 g di aguglia apportano circa 108 Calorie e:

19,5 g di proteine

76,1 g di acqua

3,2 g di lipidi, fra cui: 1,07 g di acidi grassi polinsaturi (di cui 0,935 omega 3 e 0,118 omega 6), 0,653 g di acidi grassi saturi, 0,895 g di acidi grassi monoinsaturi e 85 mg di colesterolo

0,433 mg di vitamina C

0,405 mg di vitamina B6

0,105 mg di riboflavina

7,10 mg di niacina

0,760 mg di vitamina E

0,480 mg di acido pantotenico

7,7 µg di vitamina B12

301 mg di potassio

213 mg di fosforo

79 mg di calcio

5,16 µg di vitamina D

4,20 µg di biotina

3,10 µg di vitamina A (retinolo equivalente)

0,018 mg di manganese

29,5 µg di selenio

19 µg di iodio

1 µg di folati

62 mg di sodio

23,4 mg di magnesio

2,72 mg di zinco

0,610 mg di ferro

0,064 mg di rame

 

Quando non mangiare l’aguglia?

Non risultano esservi interazioni fra il suo consumo e l’assunzione di medicinali o altre sostanze. Nel dubbio è sempre consigliabile chiedere consiglio al proprio medico.

 

Stagionalità dell’aguglia

L’aguglia è reperibile tutto l’anno.

 

Possibili benefici e controindicazioni dell’aguglia

In quanto pesce ricco di omega 3, acidi grassi alleati della salute cardiovascolare, l’aguglia è una buona opzione dal punto di vista alimentare, anche perché fonte di grassi monoinsaturi. Purtroppo, però, in esso sono celate anche quantità significative di colesterolo, lipide che se assunto in eccesso può mettere in pericolo sia cuore che arterie. Gli esperti consigliano di non assumere oltre i 300 mg al giorno di colesterolo se si è in condizioni di buona salute e di limitarsi a un massimo di 200 mg al giorno qualora di soffra di malattie cardiovascolari.

E’ altresì una fonte di proteine di qualità elevata, di nutrienti alleati della salute delle ossa (vitamina D, calcio, fosforo), di potassio (che controllando la pressione e la frequenza cardiaca aiuta a ridurre il rischio cardiovascolare) e di vitamine importanti per il buon funzionamento del metabolismo (in particolare di vitamine del gruppo B e di iodio).

 

Disclaimer

Le informazioni riportate rappresentano indicazioni generali e non sostituiscono in alcun modo il parere medico. Per garantirsi un’alimentazione sana ed equilibrata è sempre bene affidarsi ai consigli del proprio medico curante o di un esperto di nutrizione.

Alchechengi

Alchechengi

 

Che cos’è l’alchechengi?

E’ il frutto del Physalis alkekengi – specie facente parte della famiglia delle Solanaceae ed originaria dell’Asia – che produce bacche dal diametro di circa 17 mm, avvolte una ad una in un calice dalla consistenza cartacea, che possono essere ingerite sia cotte che crude e che rappresentano l’unica parte commestibile della pianta.

 

Quali sono le proprietà nutrizionali dell’alchechengi?

Una sua porzione apporta circa 70 calorie, la maggior parte delle quali sotto forma di carboidrati (il 77% circa), le restanti suddivise pressoché in modo uguale tra grassi e proteine. Fra le sue proprietà nutrizionali spicca il contenuto in vitamina C, che è praticamente all’incirca doppio rispetto a quello dei limoni. Al suo interno si rinvengono altresì inoltre calcio, carotenoidi e flavonoidi.

 

Quando non mangiare l’alchechengi?

Il suo impiego potrebbe potenziare l’effetto dei farmaci diuretici, esponendo al rischio di alterazioni idro-elettrolitiche. Pare che possa anche esercitare un’attività antiestrogenica.

 

Possibili benefici dell’alchechengi

Il loro consumo sembra avere dei effetti benefici a livello degli occhi e dell’apparato digerente; aiuterebbe inoltre a disintossicare il sangue, a combattere le infezioni a bocca e gola e a gestire complicanze alla prostata e il diabete.

La medicina popolare lo vede impiegato come diuretico e antiartritico, sotto forma di decotto o di estratto di bacche. Tradizionalmente è usato per la cura dei disturbi delle vie urinarie (inclusi i calcoli) e di quelli della pelle, della gotta e della febbre. Alle sue proprietà antiflogistiche e antipiretiche si aggiungono altresì quelle antitussive, lassative ed espettoranti. I suoi flavonoidi sembrano essere, infine, un ingrediente ideale per un infuso dall’effetto rilassante.

 

Possibili controindicazioni dell’alchechengi

Il loro consumo è controindicato in caso di ipersensibilità. E’ altresì sconsigliato in fase di gravidanza e durante l’allattamento; pare difatti che un’assunzione impropria possa incrementare il rischio di aborto.

 

Stagionalità dell’alchechengi

Fiorisce in luglio mentre i suoi frutti sono tipici dell’autunno. Oltre ad essere consumati freschi, possono essere essiccati e/o lavorati al fine di estrarne il succo.

 

Disclaimer

Le seguenti informazioni rappresentano indicazioni generali e non sostituiscono in alcun modo il parere medico. Per garantirsi un’alimentazione sana ed equilibrata è sempre bene affidarsi ai consigli del proprio medico curante o di un esperto di nutrizione.

Alga kelp

Alga kelp

 

Che cos’è l’alga kelp?

Si tratta di un’alga bruna che cresce sulle rive degli oceani. Conosciuta anche come laminaria, si può consumare cruda, però si usa anche per ricavarne delle polveri, dopo averle essiccate. Si può prendere anche in forma di soluzioni liquide o di pastiglie.

 

A cosa serve l’alga kelp?

L’alga kelp è piena di minerali, tra cui risaltano iodio, potassio e calcio. È anche un’ottima sorgente di vitamine – principalmente del gruppo B – cui sono collegate la capacità di ostacolare lo stress e accrescere le energie disponibili. Infine, quando arriva nell’intestino a contatto con l’acqua si tramuta in gel e avrebbe un’azione lassativa.

 

Prodotti a base di alga kelp vengono suggeriti sia a chi vuole perdere peso sia a chi vuole facilitare una crescita sana per capelli e unghie. Integratori di alga kelp vengono consigliati per l’artrite infiammatoria, la psoriasi, i problemi circolatori e i disturbi renali, la costipazione e disturbi di digestione (tipo la flatulenza). Qualche volta si consigliano per accrescere le energie, per irrobustire le difese immunitarie e per difendersi dagli effetti nocivi delle radiazioni, e parrebbero potenzialmente adeguati per prevenire i tumori (nello specifico quello al seno).

 

Non sembra però che l’Efsa (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare) abbia autorizzato claim che confermino queste o altre proposte d’utilizzo dell’alga kelp.

 

Avvertenze ed eventuali controindicazioni

L’alga kelp potrebbe accrescere l’azione e gli effetti collaterali della digossina e degli ormoni presi in presenza di disturbi alla tiroide. Inoltre se presa con certi diuretici, ACE inibitori o integratori di calcio potrebbe condurre a rischiose crescite dei livelli di questo minerale. In presenza di dubbi è meglio domandare consiglio al proprio dottore.

Non è indicato prendere l’alga kelp in presenza di gravidanza, allattamento, disturbi renali e problemi alla tiroide. Di solito, prenderne grosse quantità per bocca viene ritenuto rischioso a ragione dell’apporto corrispondente di iodio, che se troppo abbondante può porre a rischio la salute della tiroide. In presenza di dubbi prima di prendere prodotti a base di alga kelp è meglio consigliarsi con il proprio dottore.

Disclaimer

Le informazioni riportate sono solo indicazioni generali e non soppiantano in nessuna maniera l’opinione del dottore. Per assicurarsi un’alimentazione sana e bilanciata è sempre meglio fare affidamento sui consigli del proprio medico curante o di un esperto nutrizionista.

Amantadina

Amantadina

 

L’amantadina si usa per prevenire e curare certe tipologie di influenza.

Viene anche usata nella cura del Parkinson e dei movimenti muscolari incontrollati collegati all’assunzione di certi farmaci.

 

Che cos’è l’amantadina?

Il meccanismo di funzionamento dell’amantadina non si conosce. Si ritiene che fermi la proliferazione del virus dell’influenza e che ne minimizzi la capacità di inserirsi nelle cellule. Si ritiene anche che possa accrescere i livelli di certe sostanze a livello cerebrale.

 

Come si prende l’amantadina?

L’amantadina si prende per bocca, di solito in forma di capsule.

 

Effetti collaterali dell’amantadina?

L’assunzione di amantadina può venire collegata alla comparsa della sindrome neurolettica maligna.

Tra gli altri suoi eventuali effetti collaterali troviamo anche:

perdita dell’appetito

vista appannata

costipazione

diarrea

capogiri

sonnolenza

secchezza della bocca

secchezza nasale

sogni strani

stanchezza

problemi del sonno

 

È fondamentale avvertire e contattare immediatamente un dottore in presenza di:

rash

orticaria

prurito

problemi respiratori

sensazione di oppressione al petto

gonfiore di bocca, viso, labbra o lingua

aggressività

agitazione

confusione

depressione

svenimenti

battito cardiaco accelerato o irregolare

febbre

allucinazioni

perdita della memoria

alterazioni d’umore o di comportamento

disturbi muscolari

paranoie

mutamenti di personalità

convulsioni

sonnolenza o problemi del sonno gravi o continui

fiato corto

gonfiore di mani, gambe, piedi o caviglie

istinti suicidi

disturbi di minzione

ansia o irritabilità inusuali

disturbi alla vista.

 

Controindicazioni e avvertenze

L’assunzione di amantadina può non essere indicata in presenza di glaucoma ad angolo stretto.

Prima della sua somministrazione è fondamentale avvertire il dottore:

di probabili allergie al principio attivo, ai suoi eccipienti, a ogni altro medicinale, a cibi o ad altre sostanze

dei farmaci, dei fitoterapici e degli integratori presi, nello specifico tioridazina, anticolinergici, idroclorotiazide, chinidina, chinino, triamterene e stimolanti

se si soffre (o si ha sofferto) di disturbi cardiaci, gonfiore di mani o piedi, disturbi psichiatrici o dell’umore, convulsioni, glaucoma, pressione bassa, capogiri quando ci si alza, rash simili ad eczemi, disturbi renali o epatici

in presenza di istinti suicidi

se si è fatto un vaccino antinfluenzale per via nasale nei 14 giorni prima o se si si ha intenzione di farlo nei 2 giorni seguenti

in presenza di gravidanza o allattamento

L’amantadina può alterare le capacità di guidare e di manovrare macchinari pericolosi. Questo effetto collaterale può aggravarsi con medicinali . Inoltre alcolici, caldo, attività fisica e febbre possono intensificare i capogiri provocati dall’amantadina; per questo è meglio alzarsi lentamente da sdraiati o seduti, principalmente di mattina, e sedersi ai primi segnali di giramenti di testa.

Durante la cura è meglio limitare gli alcolici ed evitare di surriscaldarsi.

L’assunzione del medicinale non deve essere smessa repentinamente. In caso contrario potrebbero sopravvenire effetti collaterali non desiderati.

Amarene

Amarene

 

Che cosa sono le amarene?

Sono i frutti di una specie che appartiene alla famiglia delle Rosaceae, il Prunus cerasus. Ne esistono più di 250 varietà ma solo alcune di esse trovano spazio in ambito commerciale.

Il colore dei frutti – che possono arrivare a una lunghezza di 20 mm e una profondità di 18 mm – varia dal rosso intenso a quello più chiaro; al loro interno racchiudono un seme di colore marrone chiaro.

 

Quali sono le proprietà nutrizionali delle amarene?

Con 100 gr. di amarene si assumono 84,2 g di acqua e solo 42 Calorie, il 92% delle quali sotto forma di carboidrati (10,2 g di zuccheri solubili e 1,1 g di fibra). Il restante 8% è di proteine, mentre i lipidi sono praticamente assenti.

Fra i micronutrienti, la vitamina più importante è la C: in 100 grammi di amarene ne sono infatti presenti 7 mg, a fronte di un contenuto di riboflavina (vitamina B2), tiamina (vitamina B1), di niacina (vitamina B3 o PP) e vitamina A (retinolo equivalente) pari rispettivamente a 0,05 g, 0,03 g, 0,4 g e 24 µg. Nello specifico, il contenuto di vitamina A può arrivare ad essere quasi 10 volte maggiore a quello tipico delle ciliegie. Il minerale più abbondante è invece il potassio (114 mg in 100 gr. di frutto), seguito dal fosforo (17 mg), dal calcio (15 mg), dal sodio (2 mg) e dal ferro (0,4 mg). Infine, nelle amarene sono presenti derivati cumarinici, un glicoside tipico (il 2,3-dihydro-wogonin-7-mono-beta-D-glucoside), flavonoidi e numerose molecole dall’attività antiossidante, tra cui degni di nota sono il kempferolo e la quercetina. Fra le ultime molecole identificate al suo interno è incluso il cyanidin-3-glycoside, molecola che sembra poter associarsi al miglioramento dell’iperglicemia e della sensibilità all’insulina.

All’interno del succo di amarene sono state invece identificate le seguenti molecole: acido citrico, amigdalina, quercetina, antocianine, acido malico, tannini, glucosio e saccarosio.

 

Quando non mangiare le amarene?

Ad oggi non sembrano esservi prove certe della possibile interazione tra la sua assunzione e quella di farmaci o di altre molecole; anzi, il succo di amarena – sotto forma di sciroppo – s’impiega per mascherare il sapore poco gradevole di alcuni medicinali.

 

Stagionalità delle amarene

La stagione delle amarene è l’estate, e il loro mese è luglio. In Italia i frutti iniziano ad essere raccolti verso la metà giugno per essere quindi indirizzati al mercato o alla trasformazione. Le amarene possono infatti essere trasformate in succo o conservate in vari modi (sciroppate, candite, sotto spirito o sotto forma di confetture o sciroppi).

 

Possibili benefici e controindicazioni delle amarene

Ricerche scientifiche hanno rinvenuto anche all’interno delle amarene composti che potrebbero giustificare un’azione di tipo antiossidante e antinfiammatoria; secondo uno studio della Michigan State University (East Lansing, Stati Uniti) alcuni di questi composti antinfiammatori sarebbero 10 volte più attivi rispetto all’aspirina, in confronto alla quale presenterebbero anche il vantaggio di non indurre effetti collaterali indesiderati. Le antocianine eserciterebbero invece un’azione antiossidante che potrebbe aiutare a contrastare le malattie cardiovascolari, a inibire la crescita dei tumori e, forse, ritardare i processi di invecchiamento.

Ad oggi non sembrano esservi controindicazioni al consumo delle amarene che – escluso un caso di contaminazione da parte di una micotossina (la patulina) – sembrano sicure anche sotto il profilo tossicologico.

 

Disclaimer

Le seguenti informazioni rappresentano indicazioni generali e non sostituiscono in alcun modo il parere medico. Per garantirsi un’alimentazione sana ed equilibrata è sempre bene affidarsi ai consigli del proprio medico curante o di un esperto di nutrizione.

Ambliopia (occhio pigro)

Ambliopia (occhio pigro)

 

L’ambliopia, patologia anche chiamata “dell’occhio pigro”, colpisce circa il 4% della popolazione mondiale. Questa condizione porta ad una riduzione più o meno marcata della capacità visiva di un occhio o, più raramente, di entrambi.

Brevemente si può dire che deriva da un’alterata trasmissione del segnale nervoso tra l’occhio e il cervello. Quest’ultimo privilegia quindi l’occhio con la maggiore acuità visiva rispetto a quello con acuità visiva ridotta.

Questa patologia, ad oggi, può essere trattata con possibilità di successo parziale o completo solamente intervenendo entro i primi 5-6 anni di vita di un bambino.

 

Cos’è l’ambliopia?

Solitamente monolaterale, l’ambliopia può essere determinata da patologie oculari che, durante lo sviluppo del sistema visivo del bambino nei suoi primi anni di vita (0-6 anni), impediscono allo stimolo visivo il raggiungimento della retina, dovuto ad esempio alla cataratta in età pediatrica, molto spesso congenita.

Frequentemente si presenta in occhi perfettamente sani dal punto di vista anatomico. La causa è da ricercarsi in una difetto di refrazione non corretto per tempo che altera la normale stimolazione sensoriale del sistema visivo.

 

Quali sono le cause dell’ambliopia?

Le cause più frequenti dell’ambliopia sono:

Lo strabismo, cioè un allineamento non corretto degli occhi, causato da un malfunzionamento dei nervi oculomotori che ne controllano i movimenti.

Cataratta congenita e ptosi palpebrale

Anisometropia, cioè la condizione in cui i due occhi hanno una rifrazione diversa.

 

Quali sono i sintomi dell’ambliopia?

I sintomi dell’occhio pigro sono molto raramente riferiti dal paziente data la sua giovane età e quindi l’incapacità di riportare la differenza visiva tra i due occhi. E’ quindi di fondamentale importanza sottoporre il bambino ad una visita oculistica preventiva entro i primi 3-4 anni di vita, indipendentemente dalla presenza o meno di sintomi. Ad oggi vi è la tendenza ad anticipare ulteriormente la visita oculistica al primo anno di vita del bambino al fine di avere una diagnosi il più possibile precoce.

Anche se l’occhio pigro colpisce solitamente solo un occhio, non sono rari i casi che interessi entrambi gli occhi.

 

Diagnosi

Gli esami utili per determinare una diagnosi di ambliopia sono:

Visita oculistica

Valutazione ortottica con studio della motilità oculare

 

Trattamenti

La terapia anti-ambliopica va individuata il più presto possibile in stretta collaborazione con l’ortottista che deve inizialmente valutare e quindi correggere i difetti refrattivi e/o delle cause che anatomicamente ostacolano la corretta proiezione sulla retina delle immagini dell’ambiente esterno (come cataratta o ptosi palpebrale), Si passa quindi alla terapia vera e propria che consiste nell’occlusione diretta dell’occhio con bende o adesivi semitrasparenti posti sugli occhiali.

 

Prevenzione

La diagnosi precoce è di fondamentale importanza per la prevenzione dell’ambliopia e del suo eventuale trattamento. Importante quindi è lo screening preventivo da effettuarsi anche a partire dall’età di sei mesi seguito da controlli periodici nell’arco dei primi 5-6 anni di vita del bambino.

Amenorrea

Amenorrea

 

L’amenorrea è l’assenza di ciclo mestruale e viene generalmente suddivisa in:

  • Primaria: se la donna non ha mai avuto il ciclo mestruale, al compimento del sedicesimo anno di età
  • Secondaria: quando il ciclo mestruale, prima presente in modo più o meno regolare, si interrompe.

 

Che cos’è l’amenorrea?

I soggetti maggiormente a rischio sono tutte quelle donne che hanno problemi di alimentazione e soffrono di disturbi che le portano ad avere un indice di massa corporea troppo basso o troppo elevato e le atlete sottoposte a rigorosi programmi di allenamento. In questi casi si è in presenza di una vera e propria assenza di ovulazione che non permette dunque di portare a termine il concepimento e le donne che ne sono affette riscontrano seri problemi a rimanere incinte. L’amenorrea di lunga data, associata a bassi livelli estrogenici, conduce dunque a maggiori rischi di osteoporosi.

 

Quali sono le cause dell’amenorrea?

A volte l’amenorrea è una situazione normale nella vita di una donna, come durante il periodo di gestazione, l’allattamento, la menopausa e, in alcuni casi, a causa dell’assunzione di contraccettivi. In altri casi l’assenza di mestruazioni può essere causata da alcuni farmaci (ad esempio antipsicotici, chemioterapici, antidepressivi o antipertensivi), dallo stress, dal fatto di essere sottopeso, dall’eccessivo esercizio fisico o da squilibri ormonali (sindrome dell’ovaio policistico, iper e ipotiroidismo, tumori benigni dell’ipofisi, menopausa precoce). L’amenorrea può anche essere causata dalla presenza di aderenze nella cavità uterina (per esempio dopo raschiamenti ripetuti). L’amenorrea primaria è generalmente dovuta ad anomalie congenite dell’apparato riproduttore (utero, ovaie, vagina) o ad alterazioni della mappa cromosomica (come avviene per esempio nella sindrome di Turner).

 

Quali sono i sintomi dell’amenorrea?

In linea di massima è possibile affermare che il maggiore sintomo dell’amenorrea è l’assenza delle mestruazioni, fenomeno a cui si aggiunge in base alle casistiche altre problematiche sintomatiche quali acne, cute e capelli grassi, ipertricosi (aumento della peluria sul corpo, tipicamente sul viso), galattorrea (ossia fuoriuscita di liquido simile al latte dai capezzoli), caduta dei capelli, sterilità.

 

Come prevenire l’amenorrea?

Frequentemente l”amenorrea è dovuta a stili di vita poco salutari. È importante quindi avere un rapporto equilibrato con il cibo, che permette di mantenere una massa corporea idonea al corretto funzionamento degli ormoni coinvolti nel ciclo mestruale. Inoltre in molti hanno notato che anche la riduzione dello stress e un giusto equilibrio tra impegni lavorativi e momenti di riposo aiuta a prevenire i disturbi del ciclo mestruale.

 

Diagnosi

Un’accurata raccolta anamnestica, l’iter diagnostico dell’amenorrea che prevede la visita ginecologica abbinata all’ecografia trans vaginale e/o trans addominale, consentirà al medico ginecologico di valutare con una visione appropriata e completa l’apparato riproduttore, prendendo così in esame il funzionamento delle ovaie e dell’utero ed escludere cause malformative o genetiche.

Successivamente possono essere prescritti altri esami, fra cui:

  • test di gravidanza eseguito sulle urine o sul sangue (bhcg);
  • prelievo ematico in cui vengono valutati i livelli di alcuni ormoni di origine femminile o maschile (FSH – LH – PROLATTINA – TSH – ESTRADIOLO – PROGESTERONE – ORMONE ANTIMULLERIANO – TESTOSTERONE – CORTISOLO ecc);
  • isteroscopia (esame endoscopico che indaga la presenza di patologie a carico della cavità uterina);
  • In casi selezionati: risonanza magnetica della pelvi, laparoscopia.

 

Trattamenti

Il trattamento dell’amenorrea non è mai univoco e varia a seconda delle cause della problematica stessa.

Spesso, ci si limita all’osservazione e all’attesa di cicli mestruali spontanei, oppure (se la paziente non cerca figli) alla prescrizione della pillola contraccettiva

 

Nelle pazienti affette da squilibri dell’alimentazione, si agisce prevalentemente sul recupero o perdita del peso corporeo

Nei casi di amenorree anovulatorie in pazienti desiderose di prole, si stimola l’ovulazione con farmaci specifici, monitorando la crescita follicolare con ecografie seriate.

 

Se sussistono problemi a carico dell’ipofisi (per esempio nella eccessiva produzione di prolattina) o della tiroide verranno prescritti farmaci specifici.

Se il problema nasce da una patologia malformativa potrebbe essere necessario intervenire chirurgicamente.

Amlodipina

Amlodipina

 

L’amlodipina si usa nella cura dell’angina o di altri problemi collegati a patologie coronariche. Inoltre si usa nella terapia della pressione elevata.

 

Che cos’è l’amlodipina?

Si tratta di un calcio antagonista. Opera dilatando i vasi sanguigni, favorendo così il flusso del sangue.

 

Come si prende l’amlodipina?

L’amlodipina si prende per bocca, in forma di pastiglie.

 

Effetti collaterali dell’amlodipina

Tra gli eventuali effetti collaterali dell’amlodipina troviamo anche:

dolore alla testa

capogiri

sonnolenza

stanchezza

dolore allo stomaco

vampate

 

È fondamentale andare immediatamente da un dottore in presenza di:

gonfiori a viso, gola, lingua o labbra, mani, caviglie o piedi

rash

prurito

orticaria

sensazione di oppressione al petto

male al petto in peggioramento

senso di svenimento

senso di colpi nel petto

dolore che si irradia al braccio o alle spalle, nausea, sudorazioni e senso di malessere generale

 

Controindicazioni e avvertenze

Prima della cura con amlodipina è meglio avvertire il dottore:

di allergie al principio attivo, ad altri medicinali, ad altre sostanze o a cibi

dei farmaci, dei fitoterapici e degli integratori presi, nello specifico altri medicinali per la pressione elevata come la simvastatina

se si soffre (o si ha sofferto) di stenosi aortica, scompenso cardiaco congestizio o patologie epatiche

in presenza di gravidanza o allattamento

 

Durante la cura è meglio evitare di consumare degli alcolici: minimizzando la pressione del sangue possono accrescere certi degli effetti collaterali dell’amlodopina. Inoltre è fondamentale rispettare le indicazioni del dottore sull’alimentazione da seguire, l’attività fisica da fare e gli altri possibili medicinali da prendere.

Infine, è meglio evitare di alzarsi troppo rapidamente da posizione sdraiata o seduta, a ragione degli eventuali capogiri provocati dall’assunzione del medicinale.

Anastomosi delle tube (o salpingi)

Anastomosi delle tube (o salpingi)

 

Il primo intervento chirurgico con il robot è stato eseguito sulle salpingi, ambito chirurgico fra i più complessi, riguardante le pareti delle tube uterine.

L’indicazione di procedere con la chirurgia robotica per la riapertura delle salpingi dopo legatura delle stesse per sterilizzazione volontaria, sta proprio nella qualità delle suture, che possono essere eseguite con facilità grazie agli strumenti robotici. Infatti, l’anastomosi delle salpingi prevede una serie di punti con fili riassorbibili estremamente sottili, usati per ricostruire lo strato muscolare e la sierosa delle salpingi.

L’estrema precisione dell’operazione microchirurgica riporta in letteratura in prima esperienza, un successo in termini di gravidanze del 50% (in assenza di gravidanze ectopiche). Se esistono gli estremi per eseguire un tentativo di anastomosi tubarica, la tecnica robotica rimane la prima scelta per le qualità espresse dal robot in questo genere di intervento.

Anatra

Anatra

 

Che cosa è la carne di anatra?

Con questo termine si indicano diversi uccelli che fanno parte della famiglia Anatidi. Sia quella selvatica (Anas platyrhynchos) che quella domestica (che discende dalla prima) possono essere impiegata per l’alimentazione umana, anche se oggi la quasi totalità della carne di anatra rinvenibile in commercio appartiene ad animali allevati. L’anatra ha carni molto grasse e pregiate che vengono largamente impiegate e apprezzate soprattutto nella cucina francese e cinese.

 

Quali sono le proprietà nutrizionali della carne di anatra?

Cento gr. di carne cruda di anatra domestica sviluppano mediamente 160 calorie e contengono approssimativamente:

21 g di proteine

8 g di lipidi

80 g di acqua

oltre a:

14 mg di magnesio

1,9 mg di zinco

0,3 mg di rame

0,19 mg di Tiamina (vitamina B1)

0,18 mg di Riboflavina (vitamina B2)

7,7 mg di Niacina (vitamina B3 o vitamina PP)

110 mg di sodio

290 mg di potassio

1,3 mg di ferro

12 mg di calcio

200 mg di fosforo

22 µg di selenio

80 µg di vitamina A retinolo eq.

 

Quando non mangiare carne di anatra?

Non sono ad oggi ancora note interazioni tra il consumo di carne d’anatra e l’assunzione di medicinali o altre sostanze.

 

Periodo reperibilità/stagionalità dell’anatra

La sua carne è reperibile nei nostri mercati tutto l’anno.

 

Possibili benefici e controindicazioni dell’anatra

La carne d’anatra è molto energetica: 100 gr. di carne cruda sviluppano infatti circa 160 Calorie: può quindi essere utilizzata come alimento da somministrare in caso di debolezza. Grazie al suo buon contenuto in ferro (1,2 mg), la sua carne può inoltre essere consigliata ai soggetti anemici.

Poiché non si tratta di carne magrissima (essa difatti contiene 8 gr. di lipidi ogni 100 gr di carne cruda quando le carni magre ne contengono al massimo 5 g di lipidi, mentre quelle grasse ne contengono in quantità superiori, da 5 a 40), può risultare di difficile digestione e ne è pertanto sconsigliato il consumo a coloro che soffrono di disturbi a carico dell’apparato digerente. La carne di anatra allevata risulta di solito più grassa dell’anatra selvatica; quest’ultima ha però sapore più robusto e consistenza meno tenera.

 

Disclaimer

Le informazioni riportate rappresentano indicazioni generali e non sostituiscono in alcun modo il   parere medico. Per garantirsi un’alimentazione sana ed equilibrata è sempre bene affidarsi ai   consigli del proprio medico curante o di un esperto di nutrizione.

Aneurismi dell’aorta addominale

Aneurismi dell’aorta addominale

 

Che cosa è un aneurisma?

Il termine aneurisma indica una dilatazione localizzata e permanente di un’arteria causata dal danneggiamento delle fibre elastiche e muscolari presenti nella parete. Privo così della sua solita elasticità e sotto la spinta della pressione del sangue, il vaso si allarga progressivamente. L’evoluzione naturale dell’aneurisma comporta un progressivo aumento di calibro del tratto di arteria interessato fino all’inevitabile rottura del vaso. I fattori di rischio che possono partecipare alla formazione dell’aneurisma sono ipertensione, familiarità, livelli elevati di colesterolo, diabete e fumo. Una malattia molto diffusa è l’aneurisma dell’aorta, che interessa il 6% circa della popolazione di età superiore a 60 anni, e colpisce più frequentemente gli uomini. Gli aneurismi più diffusi colpiscono l’aorta addominale sottorenale, allargandosi talvolta alle arterie iliache, cioè ai due rami principali di divisione dell’aorta diretti agli arti inferiori.

 

Sintomi dell’aneurisma

Il più delle volte l’aneurisma dell’aorta addominale è totalmente asintomatico, ossia non ci sono segni che possano avvertire della sua presenza. Molto spesso, infatti, viene diagnosticato in occasione di esami o visite eseguiti per altre ragioni. A volte è possibile avvertire un dolore al dorso ed alla regione lombare, a causa della compressione effettuata dall’aneurisma sui corpi vertebrali e sulle radici nervose. Sintomi molto diversi si presentano invece in caso di rottura dell’aneurisma: l’emorragia provoca dolori addominali o dorsali con anemia e calo importante dei valori di pressione arteriosa. In presenza di questi gravi disturbi è necessario il ricovero in ospedale immediato per il trattamento.

Come viene effettuata la diagnosi

Palpazione dell’addome

Ecografia addominale o l’ecocolordoppler

Tomografia assiale computerizzata (TAC)

Angio-risonanza magnetica (angio-RNM)

Per i soggetti che presentano fattori di rischio (ipertensione, familiarità, fumo, valori elevati di colesterolo, storia personale di malattia di cuore o delle arterie degli arti inferiori e delle carotidi, diabete, malattie croniche polmonari) è importante eseguire periodicamente un esame ecografico o ecocolordoppler con studio dei diametri dell’aorta. Il medico specialista suggerirà eventualmente il tipo di esami per approfondimento, valutandone anche la necessità.

Trattamenti

Aneurismectomia tradizionale

Aneurismectomia con tecnica endovascolare

È necessario che la scelta tra le due diverse modalità di trattamento venga effettuata solo dopo aver attentamente valutato i dati relativi alle condizioni generali, con particolare riferimento a malattie di cuore, polmoni e reni, e le dimensioni e morfologia della dilatazione aneurismatica.

Angina pectoris

Angina pectoris

 

L’angina pectoris è una malattia che si identifica in larga misura con il proprio sintomo principale; il termine proviene dal latino e indica il dolore al torace. Viene provocata da un temporaneo scarso afflusso di sangue al cuore che comporta la mancanza di ossigeno al tessuto cardiaco. Il fenomeno prende anche il nome di ischemia, che però nell’angina pectoris è reversibile e non arriva al punto di causare un danno cardiaco permanente. Solitamente il sintomo principale della malattia è un dolore toracico improvviso, acuto e transitorio; è anche possibile che si avvertano: pesantezza a torace e arti superiori, formicolìo o indolenzimento nella stessa sede, affaticamento, sudorazione, nausea. I sintomi possono variare molto da individuo a individuo per intensità e durata.

Che cos’è l’angina pectoris?

L’angina si distingue in diverse tipologie:

Angina stabile o da sforzo: viene determinata da uno sforzo fisico, dal freddo o dall’emozione. In questo caso si ha manifestazione del sintomo della malattia nel momento in cui si sta svolgendo l’attività fisica, in special modo se esposti alle basse temperature, o al culmine di uno stress emotivo. Questa è la forma più diffusa, ma anche quella maggiormente controllabile.

Angina instabile: in questo caso il dolore si presenta in maniera imprevista, anche a riposo, o in caso di sforzi fisici modesti. Può essere causata dall’ostruzione temporanea di una coronaria da parte di un coagulo, detto anche trombo, che si forma su una malattia aterosclerotica delle pareti vasali. Per questo rappresenta la forma più pericolosa, da trattare tempestivamente, poiché fortemente correlata al rischio di progressione verso un infarto acuto del miocardio. Anche l’angina variante o di Prinzmetal può essere considerata una forma di angina instabile. L’angina variante viene provocata da uno spasmo in una delle coronarie, con restringimento importante, anche se temporaneo, del vaso fino a compromettere in modo significativo il flusso di sangue e a determinare ischemia associata a dolore toracico. L’angina di Prinzmetal è una malattia abbastanza rara che non è in genere correlata ad aterosclerosi del vaso coronarico interessato dallo spasmo.

Angina secondaria: in questa tipologia sono comprese tutte quelle forme di “ischemia” cardiaca che non sono causate da restringimenti o ostruzioni coronariche, ma da altre patologie quali l’insufficienza aortica, la stenosi mitralica, l’anemia grave, l’ipertiroidismo e le aritmie.

Quali sono le cause dell’angina pectoris?

L’angina viene provocata dalla riduzione, temporanea, dell’afflusso di sangue al cuore. Il sangue trasporta l’ossigeno necessario ai tessuti del muscolo cardiaco per vivere. Se il flusso di sangue non è adeguato si verificano le condizioni per un’ischemia. La riduzione del flusso può essere determinata da un restringimento critico delle coronarie (stenosi), tale da non permettere un apporto sufficiente, in presenza di aumentate richieste di ossigeno da parte del tessuto cardiaco (durante attività fisica, freddo o stress emotivo). Ciò si verifica più spesso in caso di aterosclerosi coronarica, malattia che colpisce le pareti dei vasi sanguigni tramite la formazione di placche a contenuto lipidico o fibroso, che si sviluppano verso la progressiva riduzione del lume o verso l’ulcerazione e la formazione brusca di un coagulo al di sopra del punto di lesione. L’ostruzione/restringimento della coronaria può avvenire più raramente anche per spasmo della stessa, solitamente senza alterazioni aterosclerotiche delle pareti vasali. Lo sviluppo di aterosclerosi viene favorito da condizioni come il fumo, il diabete, l’ipertensione e l’obesità.

Con quali sintomi si manifesta l’angina pectoris?

Tra i sintomi dell’angina sono compresi:

Dolore acuto, pesantezza, formicolìo o indolenzimento al torace, che talvolta si può estendere verso spalle, braccia, gomiti, polsi, schiena, collo, gola e mandibola

Dolore prolungato nella parte superiore dell’addome

Mancanza di respiro (dispnea)

Sudorazione

Svenimento

Nausea e vomito

In che modo si può prevenire l’angina pectoris?

In primo luogo si può prevenire l’angina pectoris attraverso la prevenzione dell’aterosclerosi coronarica, mettendo in atto tutte le misure atte a controllare i principali fattori di rischio cardiovascolare. Si dovrebbe evitare la sedentarietà, effettuare un’attività fisica moderata e regolare; evitare, se si sono verificati episodi di dolore anginoso, sforzi eccessivi e fonti di stress psicofisico; evitare sovrappeso e obesità, seguire un regime alimentare sano, povero di grassi e ricco di frutta e verdura; evitare pasti abbondanti e il consumo di alcolici; non fumare o smettere di farlo.

Per chi è affetto da diabete è necessario attuare tutte le misure per tenere sotto un controllo adeguato la glicemia. I soggetti diabetici dovranno, inoltre, controllare periodicamente la pressione sanguigna.

Diagnosi

Chi ha anche solo un sospetto episodio di angina, dovrebbe consultare tempestivamente il medico per effettuare gli esami del caso, che comprendono:

Elettrocardiogramma (ECG): registra l’attività elettrica del cuore e permette l’individuazione della presenza di anomalie suggestive per ischemia miocardica. L’Holter è il monitoraggio prolungato nelle 24 ore dell’ECG: nel caso di sospetta angina permette la registrazione dell’elettrocardiogramma nella vita di tutti i giorni e in particolare nelle situazioni in cui il paziente riferisce di avere la sintomatologia.

Il test da sforzo: l’esame consiste nel registrare un elettrocardiogramma nel momento in cui il paziente compie uno sforzo fisico, in generale mentre cammina su un tapis roulant o pedala su una cyclette. La conduzione di questo test viene effettuata seguendo dei protocolli predefiniti, mirati a valutare al meglio la riserva funzionale del circolo coronarico. Il test si interrompe con la comparsa di sintomi, alterazioni ECG o pressione elevata o una volta raggiunta l’attività massimale per quel paziente in mancanza di segni e sintomi indicativi di ischemia.

Scintigrafia miocardica: è una metodica impiegata per valutare l’ischemia da sforzo in pazienti per cui solo l’elettrocardiogramma non sarebbe adeguatamente interpretabile. Anche in questa situazione l’esame del paziente può essere eseguito con cyclette o tapis roulant. Al monitoraggio elettrocardiografico si aggiunge la somministrazione endovenosa di un tracciante radioattivo che, se l’afflusso di sangue al cuore è regolare, si posiziona nel tessuto cardiaco. Dal tracciante radioattivo viene emesso un segnale che può essere rilevato da un’apposita apparecchiatura chiamata Gamma-camera. Se il radiotracciante viene somministrato in situazione di riposo e al culmine dell’attività, viene valutata l’eventuale comparsa di assenza di segnale in quest’ultima condizione: ciò indica che il paziente manifesta un’ischemia da sforzo. In base a questo esame è possibile non solo diagnosticare la presenza di ischemia ma anche fornire un’informazione più accurata sulla sua sede e sull’estensione. Lo stesso esame può essere effettuato inducendo l’ipotetica ischemia con un farmaco ad hoc e non con l’esercizio fisico vero e proprio.

Ecocardiogramma: è un test di immagine per visualizzare le strutture del cuore e il funzionamento delle sue parti mobili. L’apparecchio irradia un fascio di ultrasuoni al torace, tramite una sonda appoggiata sulla sua superficie, e rielabora gli ultrasuoni riflessi che tornano alla stessa sonda dopo aver interagito in modo diverso con le varie componenti della struttura cardiaca (miocardio, valvole, cavità). Si possono raccogliere le immagini in tempo reale anche durante l’esecuzione di un test da sforzo, fornendo in quel caso informazioni molto importanti sulla capacità del cuore di contrarsi correttamente durante l’attività fisica. Così come la scintigrafia anche l’ecocardiogramma può essere registrato dopo aver somministrato al paziente un farmaco che può indurre un’eventuale ischemia (ECO-stress), consentendo di diagnosticarla e valutarne l’estensione e la sede.

Coronografia o angiografia coronarica: è l’esame con cui è possibile visualizzare le coronarie praticando al loro interno l’iniezione di mezzo di contrasto radiopaco. L’esame viene effettuato in un’apposita sala radiologica, in cui vengono rispettate tutte le misure di sterilità necessarie. L’iniezione del contrasto nelle coronarie presuppone il cateterismo selettivo di un’arteria e l’avanzamento di un catetere fino all’origine dei vasi esplorati.

TC cuore o tomografia computerizzata (TC): è un esame diagnostico attraverso immagini per la valutazione della presenza di calcificazioni causate da placche aterosclerotiche nei vasi coronarici, indicatore indiretto di un rischio elevato di patologia coronarica maggiore. Utilizzando gli apparecchi attuali, anche con la somministrazione di mezzo di contrasto per via endovenosa, si può ricostruire il lume coronarico e ottenere informazioni su eventuali restringimenti critici.

Risonanza Magnetica Nucleare (RMN): produce immagini dettagliate della struttura del cuore e dei vasi sanguigni tramite la registrazione di un segnale emanato dalle cellule sottoposte a un intenso campo magnetico. Consente la valutazione della morfologia delle strutture del cuore, della funzione cardiaca ed eventuali alterazioni del movimento di parete secondarie a ischemia indotta farmacologicamente (RMN cardiaca da stress).

Trattamenti

Il trattamento dell’angina è mirato a migliorare la perfusione delle coronarie e a evitare il rischio di infarto e trombosi. Nella terapia sono incluse diverse opzioni, farmacologiche o interventistiche, che il cardiologo valuta in relazione al quadro clinico:

Nitrati (nitroglicerina): è una categoria di farmaci impiegata per promuovere la vasodilatazione delle coronarie, consentendo così un aumento del flusso di sangue verso il cuore.

Aspirina: è stato appurato da studi scientifici che l’aspirina riduce la probabilità di infarto. Questo farmaco, infatti, svolge un’azione antiaggregante che previene la formazione di trombi. La stessa azione viene svolta anche da altri farmaci antipiastrinici (ticlopidina, clopidogrel, prasugrel e ticagrelor), che possono essere somministrati in alternativa o in combinazione con l’aspirina stessa, secondo le diverse condizioni cliniche.

Beta-bloccanti: contribuiscono a ridurre il lavoro del cuore e quindi anche il suo fabbisogno di ossigeno rallentando il battito cardiaco e abbassando la pressione sanguigna.

Statine: farmaci che svolgono il controllo del colesterolo, limitando la produzione e l’accumulo sulle pareti delle arterie e rallentando, così, lo sviluppo o la progressione dell’aterosclerosi.

Calcio-antagonisti: hanno un’azione di vasodilazione sulle coronarie che permette l’aumento del flusso di sangue verso il cuore.

L’opzione interventistica comprende:

L’angioplastica coronarica percutanea, che è un intervento che prevede l’inserimento nel lume della coronaria, in corso di angiografia, di un piccolo pallone generalmente correlato a una struttura metallica a maglie (stent): il pallone viene gonfiato ed espanso in corrispondenza del restringimento dell’arteria. Questa procedura migliora il flusso di sangue a valle, riducendo o eliminando l’angina.

Bypass coronarico, che è un intervento chirurgico che prevede il confezionamento di condotti vascolari (di origine venosa o arteriosa) in grado di “bypassare” il punto di restringimento delle coronarie, facendo pertanto comunicare direttamente la porzione a monte con quella a valle della stenosi. L’intervento viene effettuato a torace aperto, somministrando al paziente l’anestesia generale e quasi sempre con il supporto della circolazione extra-corporea.

Angioplastica carotidea e stenting

Angioplastica carotidea e stenting

 

L’angioplastica carotidea è una procedura non invasiva di Interventistica Radiologica, con la quale si può eseguire la rimozione di ostruzioni presenti nelle carotidi, le due principali arterie del collo che portano il sangue dal cuore al cervello. È possibile, infatti, che questi due vasi arteriosi si restringano (stenosi), principalmente a causa dell’aterosclerosi, patologia caratterizzata dall’accumulo di placche di grasso, riducendo o interrompendo del tutto il flusso del sangue al cervello, con un elevato rischio di ictus. Con la stessa procedura effettuata attraverso l’introduzione nei vasi sanguigni di piccole cannule in anestesia locale è possibile anche procedere al posizionamento di cilindri metallici (stent) che mantengono la dilatazione delle carotidi evitando che possano restringersi e chiudersi di nuovo.

 

Che cos’è l’angioplatica carotidea e stenting?

Nonostante siano recenti, l’angioplastica carotidea e lo stenting sono procedure già ampiamente consolidate nella pratica medica. Possono sostituire l’intervento chirurgico, permettendo di pulire e liberare le arterie carotidi da accumuli di grasso che rappresentano un ostacolo al passaggio del sangue e possono ridurre il flusso di ossigeno al cervello, provocando l’infarto cerebrale anche noto come ictus. Le cause più comuni sono colesterolo alto, ipertensione e fumo. Oltre a chiudersi per l’accumulo di placche aterosclerotiche, nelle carotidi si possono anche formare pericolosi trombi, ossia coaguli di sangue che occludono il vaso sanguigno in cui si sono formati, o si muovono bloccando il passaggio in altri punti del sistema sanguigno.

Nella procedura è incluso anche l’inserimento di una sottile cannula (catetere) all’altezza dell’inguine, nell’arteria femorale. L’intervento viene eseguito in anestesia locale, in modo tale che il paziente possa riferire le proprie sensazioni durante la procedura. Le immagini radiografiche guidano il catetere fino al punto occluso dalle placche. In seguito, si prosegue con la dilatazione del tratto malato e con il posizionamento di un tubicino in rete metallica (stent), costituito da materiale compatibile con l’organismo umano. Lo stent viene rilasciato nella parte del vaso sanguigno soggetta a restringimento per proteggere le pareti delle arterie ed evitare che tornino a chiudersi.

La procedura dura per un tempo di circa 1-2 ore. Generalmente il paziente viene dimesso il giorno successivo all’intervento.

 

Quale ospedalizzazione viene richiesta?

La procedura avviene in anestesia locale. Il paziente resta sveglio mentre tutto l’intervento viene eseguito e ha la possibilità di riferire allo staff sanitario ogni sensazione. Lo staff di anestesiologi è sempre presente durante l’intervento per monitorare tutti i parametri correlati alla procedura.

 

Quali sono i vantaggi dell’angioplastica carotidea e stenting?

Come tutte le procedure mediche, l’angioplastica carotidea presenta un profilo di rischio che viene stimato rispetto ai benefici che si possono ottenere dalla procedura, ossia la riduzione di un alto rischio di ictus o di trombosi. L’angioplastica viene indicata se la stenosi supera il volume del vaso sanguigno del 75% oppure se il paziente è a rischio di ictus o è già stato colpito da ictus.

Nei casi in cui i pazienti non possano o non vogliano sottoporsi alla chirurgia un trattamento alternativo all’intervento (endoarteriectomia arteriosa) è rappresentato dall’angioplastica.

Ci sono dei rischi legati al possibile distacco di frammenti delle placche aterosclerotiche che immettendosi nel circolo sanguigno giungono al cervello provocando un attacco ischemico transitorio (2-3% dei casi) o ictus ischemico (1,2% dei casi). Tali eventualità vengono evitate attraverso l’introduzione di speciali barriere (chiamate “filtri”) che consentono il trasporto all’esterno delle scorie prelevate durante la pulizia delle carotidi.

 

È doloroso o pericoloso?

Il trattamento è indolore, in quanto viene eseguito in anestesia locale.

Le complicanze più gravi sono l’attacco ischemico transitorio e l’ictus ischemico. Altre conseguenze più rare possono essere difficoltà respiratorie, battiti cardiaci irregolari, perdita di coscienza. Nell’1% dei casi è possibile avere reazioni minori come starnuti o nausea e un peggioramento temporaneo della funzione renale, correlato all’uso del mezzo di contrasto per la guida del catetere che viene progressivamente espulso attraverso il consumo abbondante d’acqua nelle ore successive all’intervento.

 

Chi può sottoporsi al trattamento?

I candidati vengono selezionati seguendo dei criteri medici e radiologici, allo scopo di individuare le caratteristiche che rendono l’angioplastica più opportuna ed efficace, ma ugualmente sicura, rispetto al trattamento chirurgico.

 

Follow-up

Dopo l’angioplastica il paziente deve restare a letto e a riposo per 12-24 ore durante le quali le sue condizioni di salute sono sottoposte al monitoraggio costante.

Nei mesi successivi sono previsti nuovi controlli per escludere la probabilità di restenosi, che si ha quando il vaso sanguigno torna a restringersi.

 

Norme di preparazione

Prima della procedura, si sottopone il paziente a una vista accurata in cui si procede alla raccolta di tutti i dati concernenti la sua salute e quella dei familiari più stretti.

Vengono effettuati gli esami per valutare lo stato delle arterie: ecodoppler carotideo, ed Angio-Tc dei vasi del collo. Prima dell’intervento si comunicano al paziente tutte le informazioni su ciò che può mangiare e bere e fino a quando. Se il paziente assume farmaci, lo staff sanitario comunicherà quali dovrà eventualmente sospendere, in particolare se assume farmaci per la cura del diabete o antiaggreganti.

Anguilla o capitone

Anguilla o capitone

 

Che cos’è l’anguilla?

Dal nome scientifico Anguilla anguilla, è una specie della famiglia Anguillidae. A volte la femmina – che può superare il metro di lunghezza – viene chiamata capitone, mentre il maschio – molto più piccolo – è definito ceca.

 

Quali sono le proprietà nutrizionali dell’anguilla?

100 g di anguilla cruda apportano circa 131 calorie e:

18,44 g di proteine

68,26 g di acqua

11,66 g di lipidi, di cui:

126 mg di colesterolo

4 mg di vitamina E

3,5 mg di niacina

2,358 g di grassi saturi

7,190 g di grassi monoinsaturi

0,947 g di grassi polinsaturi (di cui circa 653 mg di omega 3 e 196 mg di omega 6)

3477 UI di vitamina A

932 UI di vitamina D

15 µg di folati

3 µg di vitamina B12

0,150 mg di tiamina

0,067 mg di vitamina B6

0,040 mg di riboflavina

51 mg di sodio

30,50 mg di ferro

20 mg di magnesio

1,62 mg di zinco

13,3 µg di selenio

272 mg di potassio

216 mg di fosforo

20 mg di calcio

 

Quando non mangiare l’anguilla?

Non risultano esservi interazioni note fra il consumo di anguilla e l’assunzione di medicinali o altre sostanze. Nel dubbio è opportuno chiedere consiglio al proprio medico.

 

Periodo di reperibilità dell’anguilla

L’anguilla reperibile sul mercato potrebbe essere un prodotto allevato. Per quanto riguarda la pesca, alcune regioni la vietano in specifici periodi dell’anno (in Veneto e Lombardia dall’1 ottobre al 31 dicembre).

 

Possibili benefici e controindicazioni dell’anguilla

Essa è una buona fonte di lipidi dalle proprietà salutari, in particolare di acidi grassi monoinsaturi e di omega 3, entrambi alleati di una buona salute cardiovascolare. Sono altresì una buona fonte di vitamina E (a cui sono legate proprietà antiossidanti), di vitamina D (alleata della salute delle ossa), di vitamina A (importante per la salute degli occhi, per lo sviluppo e per le difese immunitarie) e di vitamina B12 (coinvolta nella sintesi degli acidi nucleici e dell’emoglobina, nel metabolismo dei grassi e nel funzionamento del sistema nervoso). Con l’anguilla si assumono anche discrete quantità di fosforo, importante sia per la salute di ossa e denti che per quella di cuore, muscoli e reni, per il buon funzionamento del metabolismo e per la trasmissione dell’impulso nervoso.

Purtroppo, però, l’anguilla è fonte di elevate dosi di colesterolo.

 

Disclaimer

Le seguenti informazioni rappresentano indicazioni generali e non sostituiscono in alcun modo il parere medico. Per garantirsi un’alimentazione sana ed equilibrata è sempre bene affidarsi ai consigli del proprio medico curante o di un esperto di nutrizione.

Anice stellato

Anice stellato

 

Che cos’è l’anice stellato?

L’Illicium vero è una specie nativa della Cina e del Vietnam i cui semi vengono impiegati come spezie. Introdotto in Europa nel XVII secolo, oggi viene coltivato quasi esclusivamente nel sud della Cina, in Indocina e in Giappone. Detto anche anice stellato cinese, è diverso da quello giapponese (Illicium anisatum), specie non adatta all’uso alimentare perché altamente tossica.

 

Quali sono le proprietà nutrizionali l’anice stellato?

100 gr di anice stellato apportano circa 22 calorie e:

vitamina C (2% del fabbisogno in un’alimentazione da 2.000 calorie giornaliere)

1 mg di sodio

calcio (4% del fabbisogno in un’alimentazione da 2.000 calorie giornaliere)

ferro (13% del fabbisogno in un’alimentazione da 2.000 calorie giornaliere)

3 g di carboidrati

1 g di proteine

L’anice stellato è una fonte di acido scichimico e di linaloolo.

 

Quando non mangiare l’anice stellato?

Non sono ancora note condizioni in cui il consumo di anice stellato possa interagire con l’assunzione di medicinali o altre sostanze. Nel dubbio è bene chiedere consulto al proprio medico.

 

Periodo reperibilità/stagionalità

E’ commercialmente rinvenibile tutto l’anno.

 

Possibili benefici e controindicazioni

Gli sono attribuite proprietà stimolanti, sedative, carminative, stomachiche e diuretiche. Inoltre il linaloolo che è presente al suo interno è dotato di proprietà antiossidanti. In Oriente viene utilizzato per combattere i dolori addominali e i disordini mestruali, per aumentare la produzione di latte nelle donne in fase di allattamento, per alleviare la flatulenza, per contrastare gli acciacchi tipici dei mesi più freddi dell’anno, per combattere coliche, reumatismi e lombalgie, per promuovere l’appetito e il buon sonno. Gli sono inoltre ascritte proprietà antibatteriche e antimicotiche che vengono sfruttate all’interno di rimedi contro disturbi delle vie respiratorie tipo bronchite, asma e tosse secca. Non solo, l’acido scichimico presente al suo interno è utilizzato come ingrediente per rimedi contro l’influenza; più in generale, l’anice stellato – nella sua forma naturale – sembra poter aiutare il sistema immunitario a combattere questa diffusa malattia. Sono però essere necessarie prove più approfondite che giustifichino la sua efficacia a scopo medicinale.

 

Disclaimer

Le informazioni riportate rappresentano indicazioni generali e non sostituiscono in alcun modo il parere medico. Per garantirsi un’alimentazione sana ed equilibrata è sempre bene affidarsi ai consigli del proprio medico curante o di un esperto di nutrizione.

Apraclonidina

Apraclonidina

 

L’apraclonidina si usa nella cura a breve termine del glaucoma quando il trattamento a base di altri farmaci non è abbastanza a diminuire la pressione intraoculare.

 

Inoltre si usa per prevenire o minimizzare l’accrescimento di pressione intraoculare durante e dopo certe tipologie di interventi all’occhio con il laser.

 

Che cos’è l’apraclonidina?

L’apraclonidina opera minimizzando la quantità di fluidi dentro all’occhio. In questa maniera collabora alla riduzione della pressione intraoculare.

 

Come si prende l’apraclonidina?

L’apraclonidina viene assunta in forma di collirio.

 

Effetti collaterali dell’apraclonidina

Tra gli eventuali effetti collaterali dell’apraclonidina troviamo anche:

occhi rossi, gonfi o pruriginosi o incremento della lacrimazione

disturbo agli occhi

senso di corpo estraneo nell’occhio

battito cardiaco irregolare, rallentato o pesante

vista appannata

occhi pallidi o secchi

pupille dilatate

palpebre sollevate

diminuzione della capacità di coordinazione

carenza di energia

sonnolenza

insonnia

sogni inusuali

capogiri

dolore alla testa

depressione

irritabilità

male, bruciore o pizzicore a mani o piedi

cambiamento del gusto o dell’olfatto

secchezza della bocca

nausea

vomito

dolore allo stomaco

costipazione

diarrea

naso secco o che brucia

bruciore o pesantezza al torace

arrossamenti cutanei

rash

prurito

senso di caldo

palmi sudati o appicicaticci

diminuzione del desiderio sessuale

 

È fondamentale avvertire immediatamente un dottore in presenza di:

rash grave

orticaria

prurito

problemi respiratori

sensazione di oppressione al petto

gonfiore di bocca, viso, labbra o lingua

svenimenti

fiato corto

 

Controindicazioni e avvertenze

L’utilizzo dell’apraclonidina potrebbe non essere indicato in presenza di recente assunzione di MAO inibitori.

 

In presenza di uso di altri colliri è meglio metterlo almeno 5 minuti prima o dopo l’apraclonidina.

Prima della cura è fondamentale avvertire il dottore:

di possibili allergie al principio attivo, ai suoi eccipienti, a ogni altro medicinale (nello specifico alla clonidina), a cibi o ad altre sostanze

dei farmaci, dei fitoterapici e degli integratori presi, menzionando nello specifico antidepressivi, betabloccanti, digossina, altri medicinali contro il glaucoma, farmaci per la pressione elevata (per esempio clonidina), medicinali per l’ansia, patologie psichiatriche o convulsioni, antidolorifici narcotici, sedativi, medicinali per dormire e tranquillanti

se si soffre (o si ha sofferto) di depressione, diabete, pressione elevata, sindrome di Raynaud, tromboangiote obliterante, svenimenti o patologie cardiache, epatiche o renali

in presenza di infarto recente

in presenza di ictus o di attacco ischemico transitorio

in presenza di gravidanza o allattamento

 

È fondamentale avvertire i dottori, chirurghi e dentisti di aver preso apraclonide.

La terapia può alterare le capacità di guidare e di manovrare macchinari pericolosi. Inoltre può provocare capogiri quando ci si alza da posizione sdraiata o seduta; per questa ragione è fondamentale alzarsi facendo attenzione.

Aragosta

Aragosta

 

Che cos’è l’aragosta?

Si tratta di uno dei crostacei più pregiati. Appartenente al genere Palinurus, fra le specie più apprezzate è inclusa l’aragosta mediterranea, Palinurus elephas.

 

Quali sono le proprietà nutrizionali dell’aragosta?

100 gr di aragosta fresca apportano circa 85 calorie ripartite nel seguente modo:

20% lipidi

5% carboidrati

75% proteine

Una volta bollita, la stessa quantità di aragosta apporta 107 calorie che sono ripartite nello stesso modo.

Più specificatamente, in 100 gr. di aragosta bollita sono presenti circa:

72 g di acqua

1,3 g di zuccheri solubili

20,2 g di proteine

2,4 g di lipidi (inclusi acidi grassi omega 3)

85 mg di colesterolo

350 mg di fosforo

68 µg di selenio

74 mg di calcio

41 mg di ferro

22 mg di magnesio

2,75 mg di zinco

0,5 mg di rame

vitamina A in tracce

 

Quando non mangiare l’aragosta?

Il carapace dell’aragosta è una fonte di glucosamina, molecola che potrebbe interagire con il paracetamolo, con gli antidiabetici, con il warfarin e con alcuni antitumorali. Nel dubbio è sempre consigliabile chiedere consiglio al proprio medico.

 

Periodo di reperibilità dell’aragosta

L’aragosta mediterranea non può essere pescata dall’1 gennaio al 30 di aprile. La sua rinvenibilità sul mercato durante tutto il corso dell’anno è resa possibile dal suo allevamento.

 

Possibili benefici e controindicazioni dell’aragosta

Il consumo di crostacei come l’aragosta è stato associato a una riduzione del rischio di diabete, obesità e malattie cardiache nonchè al miglioramento dei livelli di colesterolo nel sangue. In effetti anch’essa è una fonte di omega 3, acidi grassi amici della salute cardiovascolare, e non solo. Agli omega 3 sono stati difatti associati effetti benefici a livello psicologico sia per gli adulti che per i bambini. Anche il selenio in essa contenuto è importante per il buon funzionamento dell’organismo, in particolare per quello della tiroide. Rame e ferro contribuiscono invece a ridurre il rischio di anemia.

I crostacei possono essere causa di intolleranze alimentari. Inoltre l’aragosta può contenere al suo interno mercurio tossico per la salute; per tale motivo è opportuno non consumarla troppo spesso, soprattutto durante la gravidanza.

Al fine di ridurre il rischio di patologie di origine alimentare, è opportuno acquistare aragoste fresche solo se sono state conservate a una temperatura non superiore ai 4° C e non bisogna esporle, troppo a lungo, a temperature più elevate.

 

Disclaimer

Le seguenti informazioni rappresentano indicazioni generali e non sostituiscono in alcun modo il parere medico. Per garantirsi un’alimentazione sana ed equilibrata è sempre bene affidarsi ai consigli del proprio medico curante o di un esperto di nutrizione.

Aringa

Aringa

 

Che cos’è l’aringa?

Dal nome scientifico Clupea harengus, è un pesce facente parte della famiglia delle Clupeidae che vive in prevalenza nella parte settentrionale dell’Oceano Atlantico.

 

Quali sono le proprietà nutrizionali dell’aringa?

100 g di aringa fresca apportano circa 216 calorie ripartite nel seguente modo:

69% lipidi

31% proteine

In particolare, 100 gr. di aringa fresca presentano al loro interno:

0,12 mg di tiamina

12 µg di vitamina A (retinolo equivalente)

tracce di vitamina C

320 mg di potassio

113 mg di fosforo

63 mg di calcio

0,9 mg di ferro

60,1 g di acqua

16,5 g di proteine

16,7 g di lipidi, di cui: 3,3 g di grassi saturi, 8,63 g di grassi monoinsaturi, 2,61 g di grassi polinsaturi (soprattutto omega 3) e 85 mg di colesterolo

3,5 mg di niacina

0,18 mg di riboflavina

Le sue proprietà nutrizionali possono però variare in base al metodo di conservazione.

In particolare, 100 gr. di aringa affumicata apportano 194 calorie e:

9 µg di vitamina A (retinolo equivalente)

tracce di vitamina C

254 mg di fosforo

66 mg di calcio

1,4 mg di ferro

62,5 g di acqua

19,9 g di proteine

12,7 g di lipidi

82 g di colesterolo

3,3 mg di niacina

0,28 mg di riboflavina

 

100 gr. di aringa marinata apportano invece 199 calorie e:

60,2 g di acqua

18,3 g di proteine

14 g di lipidi

150 mg di fosforo

98 mg di potassio

30 mg di calcio

97 mg di colesterolo

3,3 mg di niacina

0,21 mg di riboflavina

0,05 mg di tiamina

46 µg di vitamina A (retinolo equivalente)

tracce di vitamina C

1.030 mg di sodio

 

Infine, 100 gr di aringa sotto sale apportano 218 calorie e:

3 mg di niacina

0,29 mg di riboflavina

0,04 mg di tiamina

48 µg di vitamina A (retinolo equivalente)

tracce di vitamina C

112 mg di calcio

48,8 g di acqua

19,8 g di proteine

15,4 g di lipidi

110 mg di colesterolo

 

Quando non mangiare l’aringa?

L’aringa potrebbe interagire con l’utilizzo di ossazolidinoni.

 

Periodo di reperibilità dell’aringa

Si riproduce durante tutto l’anno.

 

Possibili benefici e controindicazioni dell’aringa

E’ un valido alleato per la salute dei globuli rossi, delle ossa e del sistema nervoso. Gli omega 3 sono altresì rinomati per i loro benefici effetti a livello del sistema cardiovascolare e di numerosi organi e tessuti (per esempio pelle e occhi). L’aringa è considerato un pesce sicuro, soprattutto per il modesto contenuto di mercurio.

 

Disclaimer

Le seguenti informazioni rappresentano indicazioni generali e non sostituiscono in alcun modo il parere medico. Per garantirsi un’alimentazione sana ed equilibrata è sempre bene affidarsi ai consigli del proprio medico curante o di un esperto di nutrizione.

Aritmie cardiache

Aritmie cardiache

 

Con il termine aritmia viene indicata una alterazione del normale ritmo cardiaco. Il battito cardiaco non risulta più essere “regolare”: il cuore batte in maniera irregolare per cui è possibile avere sia un battito veloce (tachiaritmia) che un battito rallentato (bradiaritmia).

L’aritmia può essere causata da molteplici condizioni, coinvolgendo un’alterazione della formazione o della conduzione del battito.

I sintomi comuni sono: sensazione di battito cardiaco accelerato o irregolare (cuore che salta in gola, senso di sfarfallio nel torace ecc.) oppure molto lento, a volte associato ad un profondo senso di stanchezza.

Le aritmie vengono suddivise in 2 grandi famiglie:

bradiaritmie: aritmie caratterizzate da un battito cardiaco lento.

 

Disfunzioni della formazione dell’impulso

Blocchi atrio-ventricolari

tachiaritmie: aritmie caratterizzate da un battito cardiaco rapido: le forme più comuni sono:

 

Tachicardia da rientro nodale

Tachicardia da rientro atrio-ventricolare (WPW)

Tachicardia Atriale

Fibrillazione Atriale

Flutter atriale

Tachicardia ventricolari

Artemisia

Artemisia

 

Che cos’è l’artemisia?

Si tratta di un arbusto che cresce solitamente in Nord Africa e Medio Oriente. Certe sue parti si usano a scopo medicinale.

 

A cosa serve l’artemisia?

Certi composti esistenti nell’artemisia parrebbero capaci di uccidere parassiti e batteri; altri, invece, potrebbero far diminuire il livello di zuccheri nel sangue.

 

Tra le proposte d’utilizzo, c’è la cura della tosse, dei disturbi gastrointestinali, del raffreddore, del morbillo, dell’ittero, dell’ansia, del battito cardiaco irregolare e della debolezza muscolare. Inoltre l’artemisia si consiglia per curare certe parassitosi, tipo il noto verme solitario, e certi studi suggeriscono che l’estratto acquoso di artemisia potrebbe facilitare la riduzione dei livelli di zuccheri nel sangue in presenza di diabete di tipo 2.

Le prove a supporto degli ipotizzati benefici dell’artemisia non sono però abbastanza per certificare la validità di queste proposte d’utilizzo. Inoltre non pare che l’Efsa (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare) abbia autorizzato claim che supportino queste o altre indicazioni d’utilizzo dell’artemisia.

 

Avvertenze ed eventuali controindicazioni

I dati di sicurezza dell’artemisia sono pochi; in certi casi la sua assunzione è stata collegata a un calo della pressione o della frequenza cardiaca.

Vista la sua potenziale capacità di far diminuire gli zuccheri nel sangue, l’artemisia potrebbe intensificare l’effetto dei medicinali usati per diminuire la glicemia (i cosiddetti medicinali antidiabetici) la cui posologia potrebbe dover essere cambiata proprio a ragione dell’assunzione di artemisia. Per questo prima di cominciare una cura a base di prodotti in cui è contenuta è meglio domandare consiglio al proprio dottore. I pazienti in cura con antidiabetici che prendono anche artemisia, dovrebbero controllare spesso i livelli degli zuccheri nel sangue. L’assunzione di artemisia dovrebbe venire interrotta almeno due settimane prima di eventuali interventi chirurgici programmati.

Infine, non si consiglia di prendere artemisia durante la gravidanza e l’allattamento.

 

Disclaimer

Le informazioni riportate sono solo indicazioni generali e non soppiantano in nessuna maniera l’opinione medica. Per assicurarsi un’alimentazione sana e bilanciata è sempre meglio fare affidamento sui consigli del proprio medico curante o di un esperto nutrizionista.