Il tumore della mammella rappresenta la neoplasia più frequentemente diagnosticata nella donna in tutte le fasce di età. Colpisce mediamente una donna su otto: nel 41% dei casi prima dei 49 anni, nel 35% tra i 50 e i 69 anni e nel 22% nella fascia di età dopo i 70 anni.

E’ stato stimato che nel 2016 siano stati individuati in Italia circa 50.200 nuovi casi di carcinomi della mammella femminile per un totale che supera i 450.000 casi.

Il tumore ‘in situ’

Dal punto di vista istologico, è possibile distinguere in quali cellule ha avuto origine la neoplasia: quelle dei lobuli ghiandolari o quelle dei dotti galattofori, che rappresenta la forma più frequente. Entrambi si possono presentare nella forma non invasiva (in situ) o invasiva (infiltrante), molto più pericolosa perché in grado di dare metastasi a distanza, in particolare alle ossa e al fegato.

La caratteristica peculiare che accomuna le forme non invasive, “in situ”, di carcinoma mammario è la proliferazione di cellule epiteliali che hanno subito una trasformazione neoplastica senza invasione della membrana basale, senza segni di infiltrazione di vasi sanguigni e linfatici e pertanto con un potenziale metastatico praticamente assente. Il rischio che possa evolversi in una forma infiltrante è stimato intorno al 35-50%.

È molto probabile che il carcinoma in situ sia una tappa obbligata nello sviluppo della forma infiltrante, anche se sappiamo che non tutti i carcinomi in situ hanno la capacità di evolvere verso una forma invasiva. In passato due studi scientifici hanno dimostrato che un carcinoma in situ diviene infiltrante in un terzo dei casi in un periodo di tempo che varia da 5 a 10 anni.

L’importanza dell’approccio multidisciplinare

La paziente con il tumore della mammella oggi “Deve essere presa in carico – spiega il dott. Michele Caruso, Responsabile della Ricerca Clinica di Humanitas Centro Catanese di Oncologia – da un team di specialisti che devono programmare un percorso che parte dalla diagnostica per arrivare alla terapia. Ogni paziente deve avere la migliore terapia chirurgica, medica o radiante. Dall’analisi dei diversi fattori prognostici, oggi noi medici siamo in grado di proporre alla paziente non una buona terapia, ma la migliore”.

Le nuove frontiere della chirurgia

Un buon percorso di cura, che tiene conto di questi elementi multifattoriali, è fondamentale anche e soprattutto per individuare, stabilire e programmare l’intervento chirurgico più appropriato per la paziente: “Oggi – spiega il dott. Francesco Caruso, Direttore del Dipartimento Oncologico di Humanitas Centro Catanese di Oncologia –  si parla di interventi di oncoplastica, dove aspetti oncologici e ricostruttivi vanno di pari passo; questo può verificarsi sia nella chirurgia conservativa, in cui tolto il tumore viene rimodellata tutta la mammella; sia nella chirurgia ablativa, cioè quella in cui la mammella asportata per intero viene ricostruita con le protesi. Mentre prima, infatti, veniva asportata tutta la cute, spesso anche con uno o due muscoli sottostanti, oggi invece non solo si conservano ampiamente i muscoli, ma in determinate condizioni si è arrivati a conservare tutta la cute, inclusa areola e capezzolo, conferendo un miglior risultato estetico alla ricostruzione con protesi”.

La terapia radiante

“Nei casi in cui si sia proceduto ad attuare una chirurgia conservativa – aggiunge infine il dott. Andrea Girlando, Responsabile del Servizio di Radioterapia – fondamentale risulta l’impiego della terapia radiante quale supporto alla terapia chirurgica, a completamento del trattamento locale della malattia, proprio in un tipo di tumore, il carcinoma in situ, in cui a livello locale va combattuta e definitivamente vinta la battaglia contro la neoplasia mammaria”.